[UNA DEMOCRAZIA FORTEMENTE MALATA E DISTORTA]

Scritto di Riccardo Terzi decontestualizzato

La nostra società, analogamente ad altre società del mondo sviluppato, soffre di una carenza di vita democratica che può giungere rapidamente ad un vero e proprio punto di crisi. Vanno segnalate a questo proposito le seguenti tendenze da tempo in atto e oggi particolarmente acutizzate:

  1. a) la caduta della partecipazione politica ed il crescente astensionismo elettorale, con il rischio incombente di una progressiva spoliticizzazione della società;
  2. b) lo spostamento dei poteri decisionali verso organismi tecnocratici non controllati democraticamente, in una logica funzionalista che debilita il ruolo delle assemblee elettive

(andrebbe in questo senso riesaminato tutto il problema delle autorità indipendenti);

  1. c) la personalizzazione della vita politica e l’accentuazione abnorme del ruolo della leadership, secondo un meccanismo di investitura plebiscitaria che determina un fortissima concentrazione del potere. Questo processo già iniziato a livello dei sindaci delle grandi città, provoca effetti sempre più dirompenti man mano che si sale nella gerarchia dei livelli istituzionali, dai “governatori” regionali fino alla modifica di fatto del nostro ordinamento costituzionale con una forma surrettizia di elezione diretta del capo del governo;
  2. d) la crisi dei partiti politici e la crescente degenerazione oligarchica di tutto il sistema politico, anche per effetto di una legge elettorale che ha prodotto il risultato, contravvenendo totalmente alle sue promesse, di un più rigido e verticistico dominio partitocratico;
  3. e) la riduzione drammatica degli spazi pubblici di partecipazione e di confronto, data la concentrazione di tutti gli strumenti di informazione in un ristretto gruppo di comando.

 

Tutto ciò segnala una democrazia fortemente malata e distorta. Occorre dunque affrontare in una nuova prospettiva tutto il problema delle riforme istituzionali, partendo dalla necessità di ricostruire le condizioni di una nuova vitalità democratica del paese.

Nell’agenda politica di questi ultimi anni, a destra come a sinistra, questo problema è stato sostanzialmente ignorato.

Ci si è preoccupati solo di rendere più efficaci i meccanismi decisionali, più forte l’autorità politica, considerando che nel bilanciamento tra potere di rappresentanza e potere di decisione fosse necessario sacrificare il primo al secondo.

Si è così determinato, anche in assenza di modifiche costituzionali, un clima politico che sta progressivamente trasformando la nostra democrazia in un sistema di tipo plebiscitario.

E su questo terreno, come è naturale, il populismo di destra può mettere in campo tutte le sue risorse.

La Bicamerale non è riuscita a risolvere questo problema, anche se ha rappresentato un tentativo importante di gestire politicamente questa difficile fase di transizione. Ma alla fine, anche per l’insufficiente elaborazione di una nostra proposta, la destra ha potuto far saltare il tavolo e cavalcare gli umori dell’anti-politica, presentandosi così agli elettori con una promessa demagogica di palingenesi dello Stato e di riscatto delle libertà individuali.

La sinistra dunque, alla luce di questa evoluzione, deve radicalmente ripensare la sua politica istituzionale e proporre una nuova prospettiva, intervenendo su tutti i punti di crisi prima ricordati. Legge elettorale, ruolo delle assemblee elettive, riforma del sistema politico, promozione delle diverse forme di partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica, garanzie democratiche nel sistema dell’informazione, sono tutti capitoli da riscrivere, nella prospettiva di una generale democratizzazione della vita politica.

Tutto ciò ha un rapporto assai stretto con la riflessione sulle ragioni della sconfitta della sinistra, perché le ragioni della sinistra sono indissolubilmente legate alla vitalità del processo democratico e alla crescita di una partecipazione consapevole dei cittadini. Il riformismo è, nella sua essenza, l’esperienza collettiva attraverso la quale le persone imparano a trasformare le loro condizioni di vita e a costruire una nuova rete di solidarietà sociale.

La crisi della democrazia e la sua trasformazione in un modello verticistico e oligarchico significa dunque la fine di qualsiasi possibilità di trasformazione, perché non c’è più una polis, uno spazio pubblico, una collettività, ma solo un conflitto tutto interno all’oligarchia di potere.

Se pensiamo alla nostra recente esperienza di governo possiamo vedere con chiarezza che tutti i tentativi di avviare una nuova stagione di riforme, nel campo della scuola, della pubblica amministrazione, della sanità, hanno avuto esattamente questo limite, di non riuscire ad attivare una partecipazione attiva e consapevole delle persone.

E ora è possibile, per il centrodestra, un’azione di restaurazione conservatrice senza incontrare una forte resistenza nella società, perché può operare in una condizione di sostanziale passività e di spoliticizzazione.

In parte, questa tendenza può essere corretta e bilanciata da una riforma federalista dello stato. Il federalismo, se è correttamente realizzato, è la valorizzazione di tutte le forme di autogoverno locale e implica una trasformazione di fondo nel funzionamento dell’amministrazione, rompendo le logiche burocratiche e ripensando tutte le forme dell’amministrazione in un rapporto concreto con le domande sociali.

Ma la domanda di democrazia ha una portata più ampia, e non può riguardare solo il trasferimento dei poteri e delle risorse e l’efficacia delle strutture amministrative.

Decisiva è la riforma del sistema politico, ovvero il ripensamento del ruolo del partito politico con l’obiettivo di ricostruire una linea di dialogo e di comunicazione tra politica e società.

Il partito politico può avere un ruolo riconosciuto se riesce ad essere strumento di mediazione sociale, di rappresentanza e di partecipazione collettiva. Nel passato ciò è avvenuto sulla base di una forte appartenenza di tipo ideologico, e anche sulla base di una struttura di classe che consentiva un rapporto più diretto e più immediatamente comprensibile tra funzione politica e collocazione sociale.

Oggi, nel momento in cui il collante ideologico è messo in crisi, e quindi non ci si può più affidare ad un meccanismo di delega fiduciaria, l’unica fondamentale risorsa da attivare è quella della democrazia, della costruzione cioè di un sistema di regole che consenta a tutti di partecipare alla definizione delle decisioni.

È avvenuto il contrario in questi anni, con l’adozione, anche a sinistra, di un modello di partito leaderistico e verticalizzato.

Ma questa scelta non è affatto l’unica disponibile, e si può lavorare per un progetto di radicale democratizzazione dello strumento-partito, con le elezioni primarie per i candidati, con l’utilizzo dello strumento del referendum tra gli iscritti, con lo sviluppo di tutte le forme di comunicazione, con la promozione sistematica di spazi autonomi di iniziativa e di ricerca, con la costruzione di un partito che nei suoi diversi segmenti non solo partecipa al dibattito nazionale, ma sperimenta un’azione concreta, nei diversi campi dell’agire sociale.

In breve, un partito riformista, non perché si dichiara tale, ma perché sa lavorare socialmente con la partecipazione attiva dei cittadini.

A questo fine dovrà anche essere proposta una legislazione di sostegno, che fissi alcune fondamentali regole democratiche nella vita dei partiti e che affronti tutto il problema del finanziamento dell’attività politica.

Naturalmente, il problema della partecipazione democratica non si esaurisce nel partito politico. È tutta la rete dell’associazionismo democratico e delle rappresentanze sociali che va potenziata e valorizzata.

Ciò che va contrastato è l’adattamento ad una vita democratica sempre più atrofizzata, nella convinzione del tutto falsa che nella società complessa ci possa solo essere una forma di decisionismo che si libera delle complicate procedure della democrazia.

In realtà, la complessità sociale richiede una democrazia più ricca e una più sistematica verifica del consenso sociale.

È un tema di grande difficoltà.

Ma è la condizione necessaria per il rilancio della sinistra, perché in un modello istituzionale che riduce la politica ad un gioco tutto di vertice le ragioni della sinistra non hanno la possibilità di farsi valere, perché esse sono fondamentalmente la ragioni di un processo autentico di democratizzazione della società.

Questa atrofia della vita democratica non è l’ultima delle ragioni della nostra sconfitta.



Numero progressivo: H65
Busta: 8
Estremi cronologici: [1997?]
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Stampa da file PC
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - Riflessioni politiche -