SIAMO IN PRESENZA DI UNA INVERSIONE DI ROTTA

di Riccardo Terzi – Segretario generale CGIL Lombardia

Avevamo alle spalle il vuoto, con l’accordo; del 3 luglio si sono ottenuti risultati che, seppure parziali, segnano un passo in avanti.

L’accordo siglato nello scorso luglio chiude una fase particolarmente travagliata e difficile per il movimento sindacale, segnata da arretramenti e da insuccessi, che in larga misura sono stati il frutto delle divisioni tra le organizzazioni sindacali.

La vicenda del 31 luglio del ‘92 rappresenta, in questo senso, un momento emblematico. I rapporti unitari tra le tre Confederazioni giungono sull’orlo di una drammatica lacerazione, entra in piena crisi il gruppo dirigente della CGIL, ed è fortissima tra i lavoratori una reazione di rifiuto e di rabbia per un accordo che passa sulla loro testa, senza nessun coinvolgimento e che mette in discussione il loro potere contrattuale.

Forte di questo risultato, il governo Amato mette mano ad una operazione di politica economica e sociale che colpisce duramente il mondo del lavoro; e anche in questo caso il movimento sindacale stenta a trovare la via di una risposta forte e unitaria, appare incerto e diviso e i risultati sono sicuramente al di sotto delle aspettative e del potenziale di lotta espresso dal movimento dei lavoratori.

L’ultimo accordo va valutato in questo quadro, alla luce di questa esperienza, di questi insuccessi, di questa pericolosa rottura che si è aperta nel rapporto di fiducia tra lavoratori e sindacato.

Considero del tutto sbagliata la tesi che giudica questo accordo come il punto di arrivo, come il coronamento di un processo di espropriazione del potere contrattuale dei lavoratori.

Questa testi è stata tenacemente sostenuta da chi si è opposto alla ratifica dell’intesa, giungendo a dire, al prezzo di un totale travisamento dei fatti, che si trattava addirittura di un passo indietro, di un peggioramento rispetto al 31 luglio.

I lavoratori sono stati chiamati a pronunciarsi in una libera consultazione di massa, l’esito è chiaro, non equivoco. Ci sono, certo, vaste aree di dissenso, situazioni critiche in punti molto importanti, come è il caso di Milano, ma nessuno ha argomenti seri per contestare la legittimità e la limpidezza del risultato.

I problemi di metodo sono in questo caso problemi di sostanza, perché è in discussione il carattere democratico dei processi decisionali dentro le organizzazioni sindacali.

Ora, la convalida democratica c’è stata. E colpisce il fatto che alcuni dirigenti sindacali, che hanno concentrato la loro azione proprio sul terreno della riconquista delle regole democratiche, non riconoscano il valore di questo grande momento collettivo, che ha coinvolto grandi masse di lavoratori, e ribadiscano tuttora le loro ragioni, il loro dissenso, a dispetto di ciò che è scaturito da questo processo democratico.

Naturalmente, ciò non significa che la democrazia sia ora un risultato pienamente compiuto. E i dati della consultazione vanno interpretati in tutta la loro complessità, senza sfuggire all’esigenza di fare i conti con un’area diffusa di dissenso.

Io ritengo che quest’area abbia motivazioni che sono al di là dell’intesa sottoscritta. È un’area che esprime una sfiducia, una critica più generale al modo in cui il movimento sindacale ha saputo operare in tutta questa fase.

Ciò dimostra che c’è ancora un vastissimo lavoro da fare, per recuperare pienamente il rapporto di fiducia.

Ma una prima, parziale, inversione di rotta c’è, visibile, chiara: non solo nel metodo, nell’impegno democratico che ha caratterizzato la consultazione, ma anche e soprattutto nel merito, delle soluzioni concordate.

Avevamo alle spalle il vuoto: nessuno strumento di protezione delle retribuzioni rispetto alla dinamica dell’inflazione, nessun accordo sul modello contrattuale, nessuna garanzia per la contrattazione articolata, apertamente rifiutata in via di principio dalla Confindustria, nessun accordo sui criteri di rinnovo delle rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro, e infine nessuno strumento per incidere sulle scelte generali di politica economica.

Su tutti questi terreni si sono ottenuti risultati, certo parziali, non sempre pienamente soddisfacenti, ma che segnano un passo in avanti indubbio rispetto alla situazione di vuoto in cui ci siamo trovati nei mesi precedenti.

Rifiutare l’accordo significava continuare a restare in questo vuoto, senza nulla in mano, senza nessuno strumento, e forse illudersi che una tale situazione potesse essere superata solo da uno scatto di volontà, di combattività, da una qualche fiammata dal basso.

Passiamo dal vuoto a un nuovo sistema di regole, e sono i lavoratori i primi interessati al riconoscimento di regole, di procedure, di diritti.

Tra queste regole c’è il riconoscimento formale ed esplicito dei due livelli di contrattazione, quello nazionale di categoria e quello decentrato, aziendale o territoriale, il che costituiva, a mio avviso, il vero cuore della discussione e dello scontro con la Confindustria.

Trattandosi di regole, occorrerà ora verificare se e in quale forma saranno attuate, e come il sindacato saprà gestire i nuovi strumenti. E sicuramente non abbiamo davanti a noi una facile via rettilinea, perché è da mettere nel conto che i tentativi confindustriali, respinti al tavolo della trattativa, saranno nuovamente messi in campo nella gestione dell’intesa stessa.

Così, analogamente, l’accordo per la realizzazione di una politica dei redditi, che consente al sindacato di essere un interlocutore riconosciuto e privilegiato nella definizione delle scelte di politica economica, è allo stato solo un accordo di procedura, e nessuna garanzia è data a priori che nel merito si riescano effettivamente ad ottenere i risultati che noi chiediamo, di svolta e di modifica sostanziale degli indirizzi economici che sono stati finora prevalenti.

Insomma, la battaglia vera comincia ora, e la verità è che ora la possiamo avviare con un sindacato non umiliato, non cacciato nell’angolo, ma che possiede gli strumenti per far valere, se ne è capace, le proprie ragioni.

Questo i lavoratori hanno capito, senza illusioni, senza trionfalismi: hanno capito l’essenziale, che ora abbiamo un po’ di forza in più per condurre la nostra battaglia.

E infine mi pare importante che finalmente si sblocchi la possibilità di rinnovare le rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro, che ci possa essere una grande stagione di verifica democratica della rappresentatività delle diverse organizzazioni.

Le regole sono ancora imperfette, sono il risultato di un compromesso non del tutto soddisfacente, ma ciò consente, anche in questo campo, di passare dal nulla, dal vuoto, a un’iniziativa nuova e costruttiva.

Resta per noi, per la CGIL in particolare, l’esigenza di una soluzione più forte, più chiara nei suoi fondamenti di principio, il che può avvenire solo con una nuova legislazione.

Ma questo processo avrà i suoi tempi, forse non brevi. Noi continuiamo l’azione di mobilitazione per la legge, ma ora, subito, occorre cominciare a costruire le nuove rappresentanze democratiche.

Credo che la CGIL debba assumere l’accordo di luglio, convalidato dal consenso dei lavoratori, senza ambiguità e senza incertezze, come un nuovo e più avanzato terreno di azione. Non capire questo cambiamento di fase sarebbe un grave errore, e ci porterebbe a una posizione di disfattismo disperato.

Su questo nuovo terreno, è anche auspicabile che si superino le divergenze e le differenze tra le Confederazioni, e che possa prendere finalmente corpo un nuovo progetto di unità sindacale, ovvero la costruzione di un nuovo sindacato confederale, democratico e pluralista, impegnato con regole democratiche chiare, a verificare con gli iscritti e con i lavoratori le proprie scelte e i propri obiettivi.


Numero progressivo: B8
Busta: 2
Estremi cronologici: 1993, agosto-settembre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: “Il ponte”, agosto-settembre 1993, pp. 9-10