SI SCIOGLIERÀ L’ALA COMUNISTA DELLA CGIL?

Il sindacato ora deve ripensare le parole chiave della sua storia

”Dal sociale al politico”, rubrica di Riccardo Terzi

Il 1989 ha chiuso il ciclo storico segnato dagli accordi di Yalta (la Conferenza iniziò esattamente quarantacinque anni fa, il 4 febbraio 1945). Tutta la situazione politica è messa in movimento e la discussione apertasi nel PCI mette in moto un processo di ristrutturazione della sinistra, ancora esposto a diversi esiti possibili. Questa situazione di movimento rappresenta comunque un elemento su cui agire per tentare di sbloccare un quadro politico stagnante, che tende ormai ad assumere le forme degenerate del “regime”.

Ma le situazioni politiche non possono cambiare radicalmente se non intervengono forti processi sociali. La sinistra politica ha forza e capacità di egemonia solo in quanto si spostano i rapporti di potere nella società, le sue sorti quindi non possono essere separate da quelle della “sinistra sociale”.

Il processo politico che è aperto nel PCI può significare una tappa sulla via dell’omologazione, o all’inverso può rappresentare il ritorno in campo di un’istanza forte di cambiamento, di rottura degli equilibri di potere, può essere il rilancio delle ragioni della sinistra dopo una lunga fase di offuscamento e di ritirata. Questo esito sarà deciso non dagli equilibri interni al partito, ma dal contesto sociale complessivo. Per questo mi stupisce l’accanimento della discussione, della contrapposizione tra i “sì” e i “no”, quando dovrebbe essere chiaro che la vera partita politica si gioca all’esterno, nel rapporto con la società.

In questi anni si è tentata un’operazione politica ambiziosa. La costruzione e l’affermazione, anche sul piano culturale, di un blocco di forze moderato, che sorregge il processo di modernizzazione capitalistica, che ne esprime le istanze e i valori, riorganizzando in questa chiave le forme della politica.

Sul piano sociale queste tendenze sono state solo debolmente contrastate. La crisi del sindacato si inscrive in questo processo. Ecco che allora il rapporto tra vicenda politica e vicenda sociale diviene davvero un elemento decisivo. Come si configura questo rapporto? Ci sono, anche nella sinistra e anche nel PCI, molte spinte a definire il ruolo del sindacato in funzione delle esigenze politiche. Se l’obiettivo politico è la costruzione di una nuova unità della sinistra, allora si pensa alla CGIL come ad un primo embrione di “casa comune”, e si valorizza conseguentemente il ruolo delle componenti di partito, in quanto indispensabile ossatura del sindacato e della sua unità.

È una linea di apparente realismo, in quanto tiene conto dei dati politici complessivi che inevitabilmente condizionano anche il movimento sindacale. Ma il realismo è spesso cieco. Così è accaduto che il realismo della politica dell’Eur, negli anni della solidarietà democratica, si è capovolto in una crisi di legittimità dei gruppi dirigenti del sindacato. Il medesimo rischio si può riproporre oggi con le teorizzazioni sulla “casa comune”, o con troppo semplificati collegamenti tra la “svolta” del PCI e il futuro del sindacato.

La svolta del Pei può essere un fatto positivo e liberatorio solo se essa significa un radicale ripensamento delle forme della politica, del rapporto tra partito e società, se si traduce nell’assunzione piena del valore dell’autonomia dei movimenti, a partire anzitutto dal movimento sindacale. Solo così si contribuisce a rilanciare l’obiettivo dell’unità sindacale, in quanto appunto vengono meno, definitivamente, logiche di collateralismo, e si supera, la concezione del sindacato come sede di incontro e di mediazione tra diverse componenti partitiche.

Il primo atto del nuovo partito dovrebbe essere lo scioglimento della componente comunista nella CGIL.

Ci sono le forze per questa operazione? Il processo di rinnovamento aperto nella CGIL e su cui punta la segreteria di Trentin mi pare indirizzato, sia pure con molte difficoltà e resistenze, in questa direzione, e c’è, ancora non mortificata, una tradizione di autonomia all’interno del movimento sindacale che può essere riscoperta e riattivata. Ma ciò non può avvenire senza una battaglia politica, e senza una ricerca culturale di tipo nuovo. Mentre tutti gli equilibri si stanno scomponendo, mentre il processo mondiale è aperto a nuove straordinarie possibilità, il sindacato non può pensare di basare la sua forza su vecchie rendite di posizione, non può vivere di tradizione. Vanno ripensate, riattualizzate, le parole chiave su cui il movimento sindacale ha regolato la sua storia: unità, democrazia, autonomia.

Su questi tre terreni decisivi abbiamo subito in questi anni un arretramento, e rischiamo il prevalere di una stanca e rassegnata routine, di un realismo cinico che si adatta alle situazioni e rinuncia a trasformarle. Il nuovo fermento di ricerca e di discussione che anima la sinistra e il partito comunista può essere l’occasione non per banali scorciatoie ideologiche (il “sindacato riformista” per esempio, che non significa assolutamente nulla), ma per uno sforzo nuovo di analisi e di azione sociale.



Numero progressivo: H123
Busta: 8
Estremi cronologici: 1990, 18 febbraio
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Riflessioni politiche - Scritti Sindacali -
Pubblicazione: “Rinascita”, n. 2, 18 febbraio 1990, p. 61