RIFLESSIONI SULLE NOVITÀ DEL VOTO IN UNA METROPOLI COME MILANO

di Riccardo Terzi

A Milano, con il voto dell’8 giugno, lo schieramento di sinistra raggiunge il risultato più alto che abbia mai avuto nella storia, riconfermando così con autorevolezza il proprio ruolo di governo, ma nel contempo ciò avviene con una flessione del nostro Partito anche rispetto al voto politico del ‘79. In questi due dati, che non possono essere slegati l’uno dall’altro, sta la complessità, la contraddittorietà del voto milanese, la sua “anomalia”, la necessità quindi di un’attenta valutazione critica.

L’obiettivo centrale della campagna elettorale, a Milano come altrove, era stato chiaramente indicato: confermare la “svolta” del ‘75, consolidare il ruolo di governo della sinistra, battere la DC e i suoi propositi di rivincita e di restaurazione. Questa era la posta politica essenziale, e non possiamo non sottolineare in primo luogo il fatto che questa battaglia è stata vinta, che la “crociata” democristiana contro la giunta rossa ha subito uno scacco bruciante. La DC milanese mostrava di ritenere, con ostentata sicurezza, che fosse giunto ormai il momento della resa dei conti, e in tutti questi cinque anni si è mossa avendo di mira l’obiettivo di un ribaltamento dei rapporti politici. È in questo quadro, appunto, che si spiega la sua linea di opposizione pregiudiziale e faziosa. Si trattava, per la DC, di destabilizzare la situazione, di far perdere credibilità e legittimità alla nuova giunta di sinistra, di determinare un’acuta tensione sociale e politica che costringesse il PSI e le forze laiche a ritrarsi da un’esperienza troppo arrischiata e a ritornare entro i vecchi equilibri di potere, già sperimentati nel passato.

Questo era il disegno. Il suo fallimento non ci deve far dimenticare che l’esito di questa battaglia era tutt’altro che scontato. Nella città di Milano la forza elettorale del nostro Partito è sempre stata al di sotto della media nazionale, e anche nel ‘75 si andava di poco oltre il 30%. Nelle elezioni del ‘76 e del ‘79 la Democrazia Cristiana tornava ad essere il primo partito della città, e vedeva in questo una conferma e una legittimazione dei suoi propositi di rivincita.

Se vogliamo ricostruire esattamente la storia di questi anni, dobbiamo ricordare che la formazione della giunta di sinistra di Milano è avvenuta in un contesto molto diverso da quello di altre città. Non essendoci una maggioranza politica autosufficiente e considerando i difficili rapporti di forza nella città dove si concentra il potere economico dei gruppi capitalistici e dove le forze conservatrici hanno sempre avuto delle estese basi di massa, ci fu allora nel nostro Partito una certa giustificata esitazione, il timore di avventurarci in un gioco troppo pericoloso. E inoltre, fin dall’inizio, la nuova giunta nasceva con una forte impronta socialista. In altre città si passa dal sindaco democristiano al sindaco comunista, con un segno netto di rottura e di cambiamento; a Milano è lo stesso sindaco del centrosinistra, Aniasi, che guida l’operazione della nuova giunta.

Questa nostra incertezza, se possiamo oggi giudicare con animo distaccato, credo che ci abbia gravemente danneggiato. Per troppo tempo è rimasta viva nel Partito una posizione insicura, esitante. Vi era, in fondo, nell’animo di molti compagni, la convinzione che il ‘75 era un’eccezione irripetibile, una parentesi transitoria, che era dunque una velleità l’idea di continuare sulla strada intrapresa. Solo nell’ultima fase il clima è cambiato e il Partito ha compreso che occorreva gettare tutte le energie in una battaglia politica difficile ma non disperata.

In questa storia, che è utile ripercorrere, possiamo trovare una delle ragioni dell’anomalia di Milano.

L’altro aspetto da considerare è la realtà peculiare del PSI milanese. La collaborazione non è stata facile, e vi sono stati momenti anche acuti di tensione. Nel gruppo dirigente milanese si è determinata una situazione di netto predominio dell’ala autonomista craxiana, che ha teso a stabilire un rapporto con il nostro Partito sulla base di una permanente conflittualità. Ciò non solo ha reso assai arduo il nostro lavoro unitario, ma ha diffuso la convinzione in vasti strati del Partito e dell’opinione pubblica, che questa linea del PSI era la preparazione di un rovesciamento di alleanze, e si è quindi creato un clima pesante di diffidenza.

 

In questo contesto la tenuta di una linea unitaria trovava qualche incomprensione nel Partito, e si faceva strada l’idea dell’inevitabilità della rottura. In effetti, nelle posizioni socialiste vi era molta ambiguità, ma si trattava di non cadere in una spirale di polemiche e di ritorsioni, e di vedere come per lo stesso PSI fosse assai poco agevole e praticabile la strada di un ritorno al centrosinistra. L’obiettivo del gruppo autonomista era ed è un altro: rafforzare una propria posizione centrale nella vita politica milanese avviando un rapporto privilegiato con le altre forze laiche e con l’ala radicale e costruendo una fitta rete di relazioni con le forze sociali ed economiche. In questo suo disegno il PSI ha interesse a tenere relegata la Democrazia Cristiana nel ruolo di opposizione, in quanto tende a sostituirsi ad essa come cardine del potere pubblico e a spostare le sue basi sociali. Per questo, il risultato elettorale ha indubbiamente il significato di una riconferma della maggioranza di sinistra: tutta la campagna elettorale del PSI è stata chiara su questo punto, e altrettanto esplicite sono le dichiarazioni postelettorali. Ma è evidente che l’affermazione del PSI, il suo successo vistoso, pone a noi problemi e interrogativi nuovi. La tradizione socialista e riformista ha a Milano radici storiche profonde più che altrove. Qui dunque vi è il terreno più favorevole per quell’operazione di rilancio politico del PSI che viene perseguita tenacemente dall’attuale gruppo dirigente non rassegnato a dover svolgere sulla scena politica italiana un ruolo di comprimario.

A Milano si è perciò concentrato un impegno massiccio e straordinario, considerando che è qui il banco di prova delle ambizioni socialiste. Noi dobbiamo capire meglio tutto questo processo, i caratteri nuovi che il PSI viene assumendo. Il tentativo è quello di costruire una forza con una spiccata autonomia, difesa gelosamente e anche con una certa aggressività, e capace di sfondare in diverse direzioni, sul versante moderato come su quello radicale. Di fronte a ciò il nostro metro di giudizio deve aggiornarsi: è politicamente sterile la reazione settaria di chi vorrebbe ricondurre il PSI entro le forme di unità che hanno operato in un passato storico ormai tramontato, e si tratta di comprendere che vi è qui una tendenza generale, che è in larga misura indipendente dalle lotte di corrente che si svolgono all’interno del Partito. Noi dobbiamo muoverci, io credo, sulla base di due princìpi fondamentali: l’affermazione chiara di una politica di unità a sinistra, e la convinzione che dentro questa politica si gioca una partita per l’egemonia. In questi cinque anni, a Milano, abbiamo salvaguardato le condizioni di una unità difficile, ma siamo rimasti in ritardo e non ci siamo attrezzati a sufficienza per far valere il peso politico del nostro Partito.

Sarebbe superficiale ridurre questa questione ad un problema di orientamento politico: il problema non si risolve alzando il tiro della polemica, ma costruendo un Partito che sappia svolgere appieno una funzione di governo.

E questa necessità non viene da un calcolo ristretto, da una gelosia di partito, ma da una considerazione ben più essenziale. La questione dei rapporti di forza e dell’egemonia nell’ambito della sinistra è decisiva per determinare quali sono i contenuti su cui si costruisce l’unità della sinistra. Dalle cose dette già risulta chiaro che la linea di fondo del PSI va nella direzione di una gestione equilibrata e moderna che resta, sostanzialmente, dentro l’orizzonte dell’assetto sociale capitalistico.

Il PSI intende rappresentare i valori della modernità, dei progresso civile, delle garanzie democratiche, e su questo terreno organizza forze produttive e intellettuali il cui obbiettivo è lo sviluppo di Milano come grande città moderna ed europea. Il successo politico di questa operazione segnala una difficoltà del nostro Partito, che a Milano si avverte più acutamente proprio perché qui ci troviamo ai livelli più alti dello sviluppo capitalistico: la difficoltà di dare corpo e concretezza visibile ad una linea di trasformazione, ad una qualità nuova dello sviluppo. In questa direzione deve andare il nostro impegno, se non vogliamo perdere ulteriore terreno e subire un’egemonia riformista. Il problema non è di progetti, ma di movimenti reali. Qui c’è anzitutto la necessità di ridare smalto al ruolo politico, alla funzione dirigente della classe operaia, di riportare in primo piano la sua centralità come soggetto e forza trainante della trasformazione.

Più in generale, dobbiamo veder dentro le contraddizioni della moderna società capitalistica, cogliere le potenzialità di movimento, assecondare e dirigere il loro sviluppo. Nella moderna condizione urbana c’è un complesso vasto di bisogni, individuali e collettivi, che sono compressi e che tendono ad esplodere.

Nella questione giovanile si ritrova al suo livello più alto tutta questa tematica, e lo sbandamento politico o ideale denuncia un difetto grave di sordità e di conservatorismo del Partito. Ecco che allora la questione in cui sbocca tutto questo tentativo di analisi è il Partito, il suo rapporto con la società, il suo stile di lavoro.

La nostra struttura organizzativa è ancora modellata su schemi tradizionali, e non riesce a stabilire con il complesso della società un sistema agile e funzionale di collegamenti e di rapporti. Non abbiamo saputo operare, dopo il ‘75, quella riconversione del Partito che si richiedeva per essere all’altezza dei nuovi compiti di governo. È un tema da riaprire, con urgenza.

L’esigenza prioritaria che discende da un risultato elettorale complesso, e per molti aspetti negativo per il nostro Partito, è quella di spingere con coraggio le organizzazioni del Partito a rinnovarsi e ad aprirsi, a sbloccare le rigidezze burocratiche, ad agire con uno spirito nuovo e aperto, a contatto vivo con quanto matura e si sviluppa nella società.



Numero progressivo: G22
Busta: 7
Estremi cronologici: 1980, 19 giugno
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagina quotidiano
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - PCI -
Pubblicazione: “L’Unità”, 19 giugno 1980