PER UN FEDERALISMO TEMPERATO

di Riccardo Terzi

Nel dibattito sui problemi costituzionali affiorano molte semplificazioni e forzature, occorre quindi in via preliminare un’opera di chiarificazione. In primo luogo, si tende a sopravvalutare la portata della nuova legge elettorale, come se essa determinasse di per sé una rottura dell’assetto istituzionale e richiedesse quindi, alla luce della nuova filosofia “maggioritaria”, un nuovo modello di Costituzione.

In termini giornalistici, è l’idea della “Seconda Repubblica”, iniziata con i referendum, ma non ancora pienamente attuata.

Ora, la legge elettorale non ha rilievo costituzionale, anche se ha ovviamente un grande rilievo politico, e giustamente la Costituzione non prevede nulla in materia e rinvia alla legislazione ordinaria.

Ciò che da più parti si auspica è un certo tipo di evoluzione del sistema politico, nella direzione del bipolarismo e di una democrazia dell’alternanza, e anch’io credo che ci si debba muovere in questa prospettiva.

Ma questo dipende essenzialmente dalle scelte e dalle strategie dei soggetti politici, e i meccanismi elettorali possono avere solo una funzione di stimolo. Come si è potuto constatare, l’introduzione della legge elettorale ha determinato sì una nuova dinamica del sistema politico, ma resta ancora un quadro segnato da molti elementi di incertezza e di confusione, resta ancora un grado molto elevato di frammentazione della rappresentanza politica e quindi è da prevedere un periodo non breve di assestamento.

Non capisco allora che cosa significhi fare la “Costituzione nel maggioritario” come qualcuno sostiene.

Mi sembra un’espressione priva di senso, a meno che non si voglia stravolgere l’equilibrio dei poteri e affermare il principio che chi vince le elezioni non solo governa, ma può esercitare una sovranità illimitata mettendo sotto tutela tutti gli organi costituzionalmente autonomi, dalla magistratura alla Corte costituzionale.

Mi pare evidente che simili propositi di concentrazione del potere debbano essere respinti. In secondo luogo, non sempre appare chiaro il fatto che la Costituzione è l’insieme dei princìpi generali, delle regole e dei valori condivisi, e che pertanto essa non può essere esposta ai mutamenti politici contingenti ed ha quindi un necessario carattere di rigidità.

Ciò non impedisce, nei più diversi campi, un’azione riformatrice anche profonda, non impedisce all’azione politica e di Governo di operare tutte le correzioni che sono necessarie, nel funzionamento della Pubblica amministrazione, nelle politiche economiche e sociali, nel sistema dell’informazione, e così via.

È vero piuttosto che alcuni princìpi della Costituzione, come quello del diritto al lavoro, sono oggi largamente inapplicati, e occorre quindi attivare delle politiche che siano in grado di restituire efficacia ai fondamentali diritti di cittadinanza. Ciò premesso, considero del tutto errata l’ipotesi di una nuova Assemblea costituente, perché ciò appunto significherebbe accreditare l’idea che tutto l’impianto costituzionale deve essere riformato e aprirebbe un varco pericoloso a possibili manovre di destra, sia sul terreno dei diritti sociali sia su quello dell’equilibrio democratico dei poteri.

Le riforme costituzionali dovranno quindi seguire le procedure previste, e realizzarsi nel momento in cui su singoli punti, su singole ipotesi di modifica, si sia determinata la necessaria convergenza di uno schieramento largo di forze politiche. E sarebbe opportuno, proprio per garantire questa larga convergenza ed impedire forzature di parte, che venisse elevato il quorum necessario per ogni decisione in questo campo.

Venendo ora al merito delle possibili modifiche costituzionali, mi sembra che l’operazione più impegnativa da realizzarsi sia quella di una riforma dell’ordinamento dello Stato in senso federalista. C’è ormai un consenso sufficientemente ampio, e abbiamo a disposizione un ricco materiale di analisi e di approfondimento del problema, per cui il tema del federalismo ha perso quei connotati rozzi di secessionismo e di rivolta delle regioni forti che aveva assunto inizialmente su iniziativa della Lega.

È possibile un federalismo “temperato”, che salvaguardi l’unità e la coesione nazionale e che non determini una rottura nell’esercizio dei diritti fondamentali. Il punto di riferimento più utile, a cui possiamo guardare, è quello dell’esperienza tedesca, la quale appunto garantisce insieme autonomia, efficienza amministrativa e solidarietà nazionale.

Per avviare questo processo – che comporta necessariamente una gradualità di attuazione e una serie di tappe e di passaggi intermedi – occorre in primo luogo affrontare il tema delle risorse e dei meccanismi fiscali (perché senza un’effettiva autonomia finanziaria delle Regioni, il federalismo diventa una parola vuota) e quello delle strutture amministrative e del loro decentramento. Sul piano costituzionale, già molte utili indicazioni sono state elaborate, nella passata legislatura, dalla Commissione bicamerale, ma ad esse va aggiunta una scelta, che a me pare essenziale, di riforma dell’attuale sistema parlamentare, con la trasformazione del Senato in una Camera delle Regioni, espressione diretta dei governi regionali, con struttura e funzioni analoghe a quella del Bundesrat tedesco.

Solo così infatti le Regioni possono effettivamente concorrere alle scelte più rilevanti della politica nazionale, e solo così si compie il passaggio da un modello di “decentramento”, di delega, ad un impianto di tipo federalista.

Sono invece del tutto contrario al meccanismo di elezione diretta del premier o del Presidente della Repubblica, perché ciò avrebbe l’effetto di alimentare fenomeni negativi di personalizzazione della vita politica e di concentrazione dei poteri.

Il governo trae legittimità dal Parlamento e non vedo perché si dovrebbe modificare questo principio, il quale tra l’altro caratterizza la gran parte delle democrazie europee meglio organizzate. Si tratta piuttosto di intervenire per una migliore distribuzione di ruoli tra Parlamento e Governo, e per una più forte qualificazione dei compiti del Presidente del Consiglio come garante e coordinatore di tutta l’azione di Governo. Ciò significa, ad esempio, limitare l’azione legislativa del Parlamento alle grandi leggi di indirizzo, rafforzare le competenze esclusive del Governo nell’attività di gestione e soprattutto nelle scelte di spesa, dare forte autonomia al premier, modificando i meccanismi del voto di fiducia, in modo che, dopo la fiducia, egli possa scegliere in piena autonomia -e anche sostituire -i membri del Governo, e fissare un criterio di incompatibilità tra mandato parlamentare e incarico governativo.

Se il problema è una maggiore stabilità e autorevolezza dell’esecutivo, ciò può essere concretamente realizzato con una serie di misure, pur nell’ambito di un sistema che resta di tipo parlamentare.

Se invece si vuole una campagna “ideologica” sul presidenzialismo, e si vogliono cavalcare gli umori del qualunquismo, del rifiuto della politica e del disprezzo per la democrazia parlamentare, allora dobbiamo attrezzarci per una risposta ferma e decisa, perché a questo punto sarebbe in gioco non l’interesse di questo o di quel partito, ma la natura fondamentale del nostro ordinamento democratico.

Vi sono infine molti aspetti, anche della prima parte della Costituzione, che possono essere utilmente aggiornati e precisati, alla luce dei cambiamenti che sono intervenuti nella società, come ad esempio sul tema dell’informazione, dell’ambiente, o della collocazione dell’Italia in rapporto al processo di integrazione europea.

Tutto ciò può essere fatto se c’è un clima serio di confronto e di ricerca delle soluzioni meglio rispondenti alla volontà generale del paese.

Fino a quando invece i temi costituzionali sono usati come materia di polemica e di strumentalizzazione di parte, per lanciare slogan propagandistici o per scagliare anatemi, allora è chiaro che si fa solo un gran polverone per non cambiare nulla.

E fortunatamente la Costituzione dispone di una serie di presidi e di garanzie, dal Presidente della Repubblica alla Corte Costituzionale, ai suoi stessi meccanismi interni di salvaguardia, il che ha impedito che questa difficile fase di transizione si trasformasse in una guerra per bande, distruttiva e senza regole.



Numero progressivo: C47
Busta: 3
Estremi cronologici: 1995, novembre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista e stampa da file PC
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Sindacali - CRS -
Note: Bozza sostanzialmente identica al testo a stampa
Pubblicazione: “Idee”, n. 4, novembre 1996, pp. 42-43