NOCIVITÀ E SICUREZZA NELL’AMBIENTE DI LAVORO

Convegno Associazione Ambiente e Lavoro, settembre 1989

Conclusioni di Riccardo Terzi – Segretario generale aggiunto CGIL Lombardia, Presidente Associazione Ambiente e Lavoro

Vorrei innanzitutto sottolineare un fatto che mi sembra molto significativo e molto incoraggiante, il fatto che a questo Convegno abbiamo registrato un livello di partecipazione e di interesse particolarmente elevato.

Il che non accade frequentemente in convegni che affrontano argomenti di particolare necessità, e che presentano anche difficoltà di carattere tecnico.

Mi pare, davvero, questo un segno, su cui riflettere, in un clima nuovo che si sia determinando nel mondo del lavoro e nel sindacato.

Abbiamo avuto una partecipazione ampia, sia di dirigenti sindacali, sia di delegati di fabbriche, sia di varie competenze esterne.

Mi pare che questo conferma una impressione politica più generale, che il movimento sindacale comincia, sia pure con gradualità, a fare i conti con la proprie crisi e a cercare le vie di una ripresa d’iniziativa, e che su alcune questioni di fondo, che riguardano i diritti dei lavoratori, c’è oggi una sensibilità di massa. C’è stata la vicenda della FIAT, che voglio soltanto citare come segno di un cambiamento di clima.

E lo stesso sta avvenendo sulle questioni che riguardano le condizioni di lavoro, la sicurezza, la salute dei lavoratori.

Non è neppure casuale che vi sia un interessamento e un impegno del parlamento su queste questioni. Si è costituita una Commissione parlamentare, e abbiamo sentito dal Senatore Antoniazzi quali sono le finalità di questa Commissione.

Mi pare quindi che vi siano oggi delle condizioni più avanzate, più favorevoli, per affrontare con maggiore decisione, con maggiore forza di quanto non abbiamo fatto nel passato, i problemi che si riferiscono ai diritti dei lavoratori e alle condizioni di lavoro.

Qui non si tratta di enfatizzare, o di dare delle versioni ideologiche di questi problemi; mi pare che abbiamo evitato di farlo nelle relazioni e nel dibattito. Se oggi è. non soltanto tra i lavoratori ma nella società italiana, come in tutte le grandi società europee, una attenzione particolare per i problemi dell’ambiente, non e per una moda ideologica improvvisa, è perché effettivamente molti dati della qualità della vita, della qualità dell’organizzazione sociale, si sono venuti deteriorando e creano un allarme crescente.

Non siamo noi a inventare strumentalmente dei fatti che non esistono. Qui parliamo del l’ambiente interno, cioè delle condizioni di lavoro, ma poi c’è un campo ancora più complesso e più vasto che riguarda gli effetti esterni di un certo tipo di sviluppo produttivo.

In questi giorni è stato lanciato l’allarme dal comune di Milano, circa i livelli raggiunti dall’inquinamento atmosferico. Abbiamo da tempo un dibattito politico, culturale, sul problema dell’ambiente e sarebbe davvero irresponsabile che noi avessimo un atteggiamento di minimizzazione rispetto a questo ordine di questioni.

Ma stando più direttamente all’argomento che abbiamo discusso in questa giornata, i dati che sono stati illustrati nella relazione di Pavanello sull’andamento degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, sono dati che indicano una tendenza negativa.

Non possiamo citare un solo anno per dimostrare il contrario; questi dati vanno visti, quantomeno, su un periodo più lungo.

I dati complessivi di industria e agricoltura, considerando anche l’anno 1987, mostrano un peggioramento significativo nell’agricoltura, e una tendenza generale negativa.

E al di là delle percentuali colpisce il dato quantitativo, che ricordava Antoniazzi. Si tratta di 900 mila casi all’anno, una cifra estremamente significativa e preoccupante.

Ma soprattutto, al di là di una disputa sui numeri, che possiamo rinviare ad un esame più dettagliato, colpisce che questo avvenga nel momento in cui è in atto un processo così massiccio di trasformazione e di modernizzazione dell’apparato produttivo, nel momento in cui c’è stata un’esaltazione, questa sì ideologica della società postindustriale.

A sentire certi teorizzatori saremmo ormai avviati al superamento del conflitto sociale tradizionale, saremmo in presenza di uno sviluppo caratterizzato dall’onnipotenza delle nuove tecnologie.

Questo non e assolutamente confermato dai fatti. Il fatto che il numero di incidenti di infortuni, di malattie professionali, resti sostanzialmente identico a quello che esisteva prima della rivoluzione informatica, nonostante che nel frattempo la composizione della forza lavoro sia cambiata, il rapporto tra lavoro operaio e lavoro impiegatizio si è capovolto, e gli infortuni riguardano prevalentemente, se non esclusivamente, il lavoro operaio ciò indica che il tipo di sviluppo, che c’è stato in questi anni ha per un verso liberato certe forze, ha sicuramente migliorato le condizioni di lavoro in certi campi, ma ha determinato anche situazioni di intensità e pericolosità superiori a quelle che esistevano precedentemente.

In ogni caso mi pare chiaro che il progresso tecnologico non ha in sé nessun elemento di oggettività. Qui dissento totalmente da quello che diceva il Professor Mortillaro.

Vi sono diverse possibilità di utilizzo della tecnologia, vi sono diverse possibilità di organizzazione del lavoro. Non siamo certo nel campo della liberta infinita, perché ci sono dei vincoli, ma è possibile organizzare la produzione con delle caratteristiche diverse, vi possono essere livelli più o meno elevati di sicurezza, ci possono essere diversi gradi d’intensificazione dei ritmi di lavoro, ci possono essere modelli organizzativi, basati nella gerarchizzazione del lavoro, o viceversa nella responsabilizzazione dei’ lavoratori.

Qui siamo nel campo di scelte, di opzioni, certo non assolute, che non prescindono totalmente da alcune rigidità e da alcuni vincoli, ma che comunque dipendono largamente da una volontà politica.

Né d’altra parte pensiamo che il problema sia quello di avere una situazione a rischio zero. È evidente che nell’attività industriale c’è un elemento di rischio, che non può essere totalmente eliminato.

Ma di fronte ai dati che abbiamo, alla dimensione del problema degli incidenti e degli infortuni, non si tratta di ipotizzare l’utopia del rischio zero, si tratta di individuare interventi efficaci per l’oggi, capaci di ridurre drasticamente una situazione di pericolo, che non è più sopportabile e accettabile non soltanto per il sindacato, ma per la coscienza civile del paese.

Nella situazione attuale quindi, accanto a elementi positivi di progresso, di modernizzazione, di sviluppo tecnologico, permangono vecchie nocività, perché esistono ancora settori dell’apparato produttivo con caratteristiche tecnologiche arretrate (tutta l’area del sommerso), e perché in generale è stata gravemente trascurata la gestione della sicurezza. Poi abbiamo da analizzare anche le nuove nocività, e già Pavanello annunciava, come un futuro impegno dell’Associazione, un’analisi di questi aspetti. In presenza delle nuove tecnologie esistono nuove forme di nocività, elementi di stress, problemi nuovi legati al rapporto dell’uomo con le nuove macchine.

Ci sono infine problemi di organizzazione del lavoro. Il modello che è stato prevalentemente in questi anni, un modello molto centralizzato, gerarchizzato, basato su una disciplina molto rigida, su una linea di esasperazione produttivistica e di intensificazione dei ritmi di lavoro, ha determinato, in molti punti della realtà economica e produttiva, un peggioramento reale delle condizioni di sicurezza dei lavoratori.

Da tutto questo dobbiamo ricavare l’esigenza di un ripensamento generale.

Se pensiamo sia agli effetti sulle condizioni di lavoro, sia agli effetti esterni di inquinamento, di rottura dell’equilibrio ecologico che in molti punti è avvenuto, non mi pare fuori luogo tornare a pensare a un nuovo modello di sviluppo (come si diceva una volta), evitando naturalmente di dare a queste misure un significato mistico, astratto, ma tenendo concretamente il problema delle modificazioni che è necessario e possibile introdurre, nel tipo di sviluppo e nel suo orientamento di fondo.

Credo che qui ci sia la possibilità di un confronto aperto anche con il mondo imprenditoriale, a condizione che esso non si metta, un po’ ciecamente, sulla difensiva, negando e minimizzando l’esistenza dei problemi. I

Io credo che sia una posizione più ragionevole, più costruttiva, anche dal punto di vista del mondo imprenditoriale, quella di ricercare su questi problemi, del rapporto fra attività produttiva e ambiente, e delle condizioni di lavoro, dei possibili punti di convergenza, con il sindacato in primo luogo e con l’insieme dei soggetti sociali che sono attivi su queste tematiche. Io non misuro il progresso della società dal livello del conflitto, ma lo misuro dalla capacità di risolvere i problemi, dalla capacità di realizzare un miglioramento delle condizioni di vita.

Da questo punto di vista, rischiamo un deterioramento ulteriore se non interveniamo per tempo con grande decisione.

Il mondo degli industriali si vuol chiudere a riccio in una posizione di difesa? Questa sarebbe una posizione perdente, dettata da un senso di colpa non confessato.

Noi siamo interessati e disponibili a dei ragionamenti costruttivi, e quando non c’è spazio per i ragionamenti costruttivi, allora si rende necessario il conflitto.

Detto questo, mi pare che in primo luogo c’è bisogno di una campagna di informazione e di denuncia, perché non c’è ancora una sufficiente conoscenza dei dati e della situazione.

Questo convegno ha avuto anche questo significato, si e proposto cioè di smentire un luogo comune, una tesi tutta ideologica, per cui man mano che si procede nel progresso tecnologico, il problema della sicurezza del lavoro è un problema destinato a essere definitivamente e automaticamente superato.

Sulla base di una aggiornata informazione e conoscenza, si tratta di definire quali sono gli interventi, cercando di evitare quello scarto che già ricordava Smuraglia, tra quello che si dice nei convegni e quella che poi e la capacità concreta di produzione di iniziative che, anche parzialmente, diano un contributo a risolvere i problemi che vengono denunciati.

Qui possiamo distinguere tra vari tipi di intervento.

In primo luogo c’è necessità di un intervento di carattere legislativo. Nella relazione di Pavanello c’era un’articolazione molto precisa di ipotesi, di proposte, per un adeguamento legislativo, considerando che su questa materia abbiamo un ordinamento ancora molto vecchio, che in tutti questi anni è mancato l’aggiornamento necessario, che alcuni impegni del parlamento non sono stati realizzati, che dunque c’è bisogno di un riordino complessivo.

Mi pare che intorno alle proposte qui avanzate si sia registrato, nel dibattito, un livello di consenso abbastanza elevato.

Su questo noi vogliamo continuare ad avere quel rapporto stretto di collaborazione e di confronto, con i vari esponenti dei gruppi parlamentari, al di là della loro collocazione politica, che ha avuto inizio con l’iniziativa dell’associazione Ambiente e Lavoro per un “patto di impegno ambientale”, e che ci ha già consentito su una serie di materie di ottenere dei risultati. Pensiamo anzitutto alla Direttiva Seveso, cioè al fatto che la nostra iniziativa, e il rapporto dell’associazione Ambiente e Lavoro con i gruppi parlamentari, ha prodotto un risultato di grande rilievo.

Oggi dobbiamo continuare in questo modo, sapendo che nella dialettica parlamentare ci sono posizioni diverse, però sapendo anche che c’è la possibilità di trovare su alcuni nodi delle convergenze politiche sufficientemente ampie.

Vi e poi tutta la questione delle strutture sanitarie, delle strutture di prevenzione. È un tema che abbiamo denunciato, come Associazione Ambiente e Lavoro, da tempo.

Proprio nei primi atti dell’Associazione c’è stata una documentazione, allarmante, e per certi aspetti incredibile, circa il livello di copertura delle USL nel settore della prevenzione e del controllo sulle condizioni di lavoro, questo in Lombardia, dove dovrebbe esserci una situazione di maggiore efficienza.

Qui abbiamo un dato di carenza strutturale, che va assolutamente affrontato con grande impegno da parte del sindacato, nel confronto con la Regione. Siamo appena usciti da questa lunga, e per certi aspetti non comprensibile, crisi della Giunta Regionale. Con la nuova Giunta dovremo certamente riaprire in confronto politico, e in questo confronto politico dovrà essere riproposto tutto il problema dell’intervento sanitario, e dell’intervento nel campo della prevenzione.

Questo resta un punto chiave, perché tutte le proposte che noi avanziamo di carattere legislativo, per mettere sotto controllo i processi che stanno avvenendo, tutto ciò rischia di essere inefficace in assenza di una pubblica amministrazione che funzioni e che utilizzi al meglio tutto il patrimonio delle competenze tecniche e scientifiche.

Vi è infine l’intervento sindacale.

Il sindacato ha avuto un periodo di carenza, di difficoltà, e di ritardo nell’affrontare i problemi dell’ambiente e delle condizioni di lavoro, in parte perché c’erano altre emergenze.

Però questo non può essere un alibi. Il fatto che ci siano problemi più generali, che riguardano in primo luogo l’occupazione, non può in nessun modo esimere il sindacato dall’essere molto fermo e molto attento nell’affrontare i problemi della condizione di lavoro e della sicurezza. Oggi comincia ad esserci una ripresa. Anche nell’attività contrattuale che si è sviluppata in questo ultimo periodo di tempo ci sono dei risultati, anche se sono parziali.

Noi comunque insistiamo nel dire che il tema dell’ambiente deve essere considerato come un tema strategico nella contrattazione sindacale

E ovviamente nella contrattazione si tratta di costruire un sistema di relazioni industriali, che consentano dl affrontare efficacemente questo ordine di problemi, di regolare il conflitto, di trovare insieme delle soluzioni.

Io credo però che noi non possiamo considerare in modo alternativo, come se si trattasse di una opzione di principio, la via sindacale e la via giudiziaria. Il sindacato è un soggetto politico che utilizza vari strumenti, che ha un rapporto con le istituzioni. Nella recente discussione interna alla CGIL, si è detto che non si tratta di scegliere in modo meccanico tra sindacato movimento e sindacato istituzione. In effetti, il problema è di essere coerentemente rappresentativi degli interessi dei lavoratori, e poi dl far valere questa capacità rappresentativa in tutte le diverse sedi. E allora la richiesta del sindacato di poter essere riconosciuto come parte civile in quei processi che riguardano fatti relativi alle condizioni di lavoro, mi pare del tutto legittima, e per questo vi si può configurare un livello d’intervento, che non può essere considerato eccezionale, e che non è in alternativa rispetto al normale esercizio dell’attività contrattuale.

Non possiamo rinchiuderci esclusivamente nella dimensione contrattualistica, perché siamo una forza che vuole agire su diversi terreni, e perché spesso non esistono le condizioni sul piano contrattuale per ottenere dei risultati significativi.

D’altra parte, l’ordinamento giuridico vale per tutti, i diritti valgono per tutti. Non ci può essere una contrattazione sostitutiva rispetto ai diritti fissati dalla legge, quindi anche il sindacato può intervenire come soggetto attivo dentro il procedimento giudiziario, naturalmente con le proprie specifiche competenze e responsabilità.

Più in generale mi pare che per affrontare questi problemi noi abbiamo bisogno di intensificare un rapporto stretto di collaborazione tra il movimento sindacale e le varie competenze culturali, scientifiche, giuridiche, tecniche. Questo sta già in larga misura avvenendo e il convegno di oggi ne è un’ulteriore prova.

Tra l’altro questa è stata la scommessa su cui si è costituita l’Associazione Ambiente e Lavoro, la cui funzione fondamentale è stata quella di rimettere in comunicazione il sindacato con la cultura esterna. E questa comunicazione sta funzionando, sta producendo dei risultati, perché esiste una grande parte del mondo della cultura, del mondo delle specializzazioni, che ha un grande interesse a ristabilire un rapporto attivo con il movimento sindacale, che riconosce nel sindacato un punto di riferimento essenziale.

Il fatto di avere rimesso in comunicazione questi due mondi ha dato all’associazione una grande funzione, un grande prestigio. Adesso si tratta di insistere, di farne un lavoro sistematico, che non si esaurisce in qualche singolo convegno, per organizzare su vasta scala un lavoro di ricerca e di elaborazione, in una prospettiva di cambiamento, di trasformazione rispetto allo stato di cose attuali.

Mi sembra molto giusto quello che diceva Grieco. Noi abbiamo bisogno di una nuova rivoluzione industriale, che rimetta al centro i problemi dell’uomo, abbiamo bisogno di pro gettare il cambiamento, in un’ottica che consideri integralmente le esigenze del lavoro umano, i diritti dei lavoratori, la valorizzazione della professionalità e della sicurezza dei lavoratori.

In questo senso c’ê bisogno di un cambiamento di ottica, e per questo c’è bisogno di una collaborazione attiva tra le varie competenze, tra le varie discipline. Mi pare che da questo punto di vista abbiamo già ottenuto qui dei primi risultati. Su questi risultati continueremo a lavorare.



Numero progressivo: A33
Busta: 1
Estremi cronologici: 1989, settembre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: “Dossier ambiente”, n. 7, settembre 1989, pp. 92-94