[MOVIMENTISMO/IMMOBILISMO]

Scritto di Riccardo Terzi in risposta all’articolo di Napoleone Colajanni intitolato “Le due anime del PCI”

Nell’articolo di Napoleone Colajanni («Le due anime del PCI», la Repubblica 5-6 gennaio) mi ha colpito una contraddizione; mentre si rifiuta, in quanto troppo semplificatorio, uno schema di interpretazione del dibattito interno del PCI basato sulla tradizionale opposizione di destra e di sinistra, questa medesima opposizione viene poi assunta, distinguendo tra una sinistra movimentista e una destra governativa. Colajanni resta prigioniero, a me sembra, di una chiave di lettura che non si adatta più alla situazione attuale.

Il pericolo del “movimentismo” non costituisce oggi, per il PCI, un rischio reale, incombente, si potrebbe al contrario sostenere che vi sia, in questa fase critica della storia del PCI, una tendenza alla cristallizzazione, all’immobilismo, e un divario crescente tra la dinamica del partito e la dinamica della società. Ciò che è mancato è proprio la capacità di costruire una linea “di movimento”, che sapesse utilizzare e dinamizzare tutti gli elementi di novità presenti nella situazione sociale e in quella politica.

D’altra parte, l’obiettivo di conquistare un ruolo di governo non può essere di per sé sufficiente a definire una strategia politica, ma richiede uno spostamento dei rapporti di potere e una capacità di mobilitazione e di aggregazione di forze sociali, e in assenza di ciò il “carattere di governo” del PCI resta una dichiarazione senza effetto.

Se vogliamo partire da un’analisi dei processi reali che sono avvenuti negli ultimi anni, occorre anzitutto ricordare che si sono modificati i rapporti di potere, che la crisi del PCI è l’effetto di questi cambiamenti, i quali hanno investito i rapporti sociali nei luoghi di lavoro, e anche, più in generale, i rapporti democratici tra lo stato e i cittadini.

La crisi è reale, profonda, e sarebbe necessario che nel dibattito congressuale del PCI questo nodo fosse più esplicitamente affrontato. Ma si tratta, appunto, di un fatto oggettivo, di uno spostamento nei rapporti di forza, ed esso quindi non può essere affrontato solo con correzioni di ordine tattico, con una maggiore duttilità e capacità di manovra nei rapporti politici. Ci sono stati sì errori e tendenze all’arroccamento, ma essi sono stati il riflesso di un’offensiva conservatrice che ha investito i punti di forza e le stesse motivazioni ideali della sinistra.

Per questo, è oggi un errore tenere disgiunte la questione del governo e la questione del movimento, ma al contrario è urgente ricomporre una visione d’insieme che restituisca all’azione del PCI e della sinistra capacità di incidere nei fatti politici come nei rapporti sociali.

Il punto di congiunzione sta nell’idea dell’alternativa, nell’obiettivo cioè di un processo politico e sociale che sbocchi nella costruzione di un assetto di potere alternativo a quello egemonizzato dalla Democrazia Cristiana.

Nelle tesi per il Congresso del PCI l’alternativa convive con un’altra indicazione politica, quella del “governo di programma”.

Non c’è formalmente contraddizione, in quanto la seconda formula è indicata come tappa intermedia e come fase preparatoria per avvicinare i tempi dell’alternativa.

Ma non è detto che la formale apparentemente più realistiche siano davvero tali, nei loro effetti pratici. Avviene spesso che gli obiettivi “intermedi siano più illusori, in quanto offuscano l’obiettivo strategico senza riuscire davvero a mettere la situazione in movimento. Io temo che sia così per il governo di programma.

Può sorgere l’illusione che basti una certa capacita di manovra, che basti sgombrare il campo da errori soggettivi di massimalismo, che basti riportare il confronto tra le forze politiche sulle “cose concrete da fare.

Ma il campo delle cose concrete è segnato da antagonismi è da contrapposizioni reali.

Mettere l’accento sul programma significa, porre in primo piano la necessità di una lotta politica finalizzata a una redistribuzione democratica del potere, nel campo economico come in quello politico.

La priorità data al programma, se non è un artificio per giungere a un qualsiasi compromesso, non allenta i rapporti politici, ma li irrigidisce, e mette ancor più in evidenza la necessità per la sinistra di costruire un proprio schieramento alternativo.

In sostanza, l’idea di alternativa resta più realistica rispetto ad altre ipotesi subordinate o intermedie, più realistica in quanto non elude la portata e l’asprezza dello scontro, in quanto parte dal problema reale di un necessario spostamento nei rapporti di potere.

In questo contesto, la definizione di un programma fa tutt’uno con la capacità di ricostruire un fronte di lotta, sindacale, sociale, politico, culturale.

Il fatto singolare del dibattito nel PCI è che tutte le posizioni finiscono per convergere nella ricerca di possibili accordi di governo con l’intero arco delle forze democratiche. La stessa proposta avanzata da Ingrao di un “governo costituente” è solo una variante, anche se più strettamente corretta a una prospettiva di alternativa.

Credo che abbia pesato in questo esito il meccanismo della “mediazione” unitaria, abbia pesato quel complesso di valori e di regole che si riassume nella formula, tuttora in vigore, del centralismo democratico.

Si stempera e si indebolisce così la ricchezza e la complessità del dibattito interno, per rivitalizzare il partito, per ritrovare motivazioni all’azione politica, per uscire fuori da una lunga fase di incertezza e di disorientamento non possono non essere innovate le regole della democrazia di partito.

E soprattutto occorre che l’esigenza della democrazia si imponga come parte integrante di una linea politica che ponga al centro i problemi della democratizzazione della società: l’organizzazione dello Stato, la riforma delle istituzioni, il governo dei processi economici, il controllo democratico sui processi di produzione e sull’uso delle risorse.

Su questi terreni, iniziativa politica e di massa si debbono congiungere. Su questi terreni il confronto con le altre forze politiche, e con il PSI in primo luogo, può farsi proficuo, al di là dei tatticismi del momento.

E il confronto con PSI è parte di un confronto più ampio con le forze della sinistra europea con le loro elaborazioni, con le loro esperienze.

La scelta del PCI di collocarsi come “parte integrante” della sinistra europea, superando schemi e pregiudizi ideologici del passato, ha senso in quanto apre la ricerca di nuovi traguardi riformatori, e se non si riduce alla ricerca di una legittimazione politica, per entrare, in qualche modo, nel gioco politico quotidiano.


Numero progressivo: H96
Busta: 8
Estremi cronologici: 1986, 9 gennaio
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Stampa da file PC
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - Riflessioni politiche -