MA ALLORA COS’È L’EMARGINAZIONE?

Il Nord e il Sud di fronte alla crisi ed ai processi di ristrutturazione

Antonio Bassolino e Riccardo Terzi (segretario provinciale del PCI a Milano) discutono l’attuale rapporto tra Nord e Sud, i livelli raggiunti dalla crisi, il concetto di emarginazione, il ruolo dei movimenti giovanili e dei partiti

Come ha inciso la crisi di questi anni sul rapporto tra nord e sud? C’è stata da parte nostra una sottovalutazione delle dinamiche reali che al suo interno si muovevano, determinando situazioni di sviluppo, da una parte, e di regresso dall’altra. Perché?

Terzi «A me pare giusta la considerazione che abbiamo fatto in quest’ultimo periodo, e che è contenuta nel nostro progetto di Tesi, circa la necessità di correggere una concezione un po’ catastrofica della crisi. In realtà in questi ultimi mesi abbiamo assistito a processi di ristrutturazione economica. Non ci troviamo, insomma, di fronte ad una paralisi complessiva, ad una stagnazione generalizzata. Per quel che mi risulta credo che questo processo abbia accentuato il divario fra nord e sud. Da noi il tessuto economico ha complessivamente retto, mentre nel Mezzogiorno alcuni processi di degradazione sociale mi sembra siano ulteriormente andati avanti.»

Bassolino «In quest’ultimo periodo siamo effettivamente andati ad un giudizio più di merito sulla crisi non limitandoci a sottolineare gli elementi di «sfascio» e cogliendone la realtà contraddittoria. Anche a proposito del divario nord sud dobbiamo andare ad una considerazione più di merito. Questo divario è aumentato dal punto di vista degli investimenti e dei livelli occupazionali, così come sono contemporaneamente aumentati i consumi; ne è risultato un Mezzogiorno più dipendente ed assistito di prima. La ripresa del vecchio modello produttivo si è poi accompagnata a nuove forme di decentramento e di economia «sommersa». Tuttavia, se è vero che, considerato complessivamente, il Mezzogiorno ha subito in questi anni un arretramento, bisogna sottolineare che anche lì la crisi non è solo sfascio e degenerazione.»

 

All’interno dell’assunzione di interessi generali che la classe operaia va sempre più sviluppando, quale ruolo deve avere la questione giovanile oggi, in particolare dopo i deludenti risultati della 285?

Terzi «Nel nord, penso in particolare a Milano, la condizione giovanile si presenta in termini non drammatici come altrove. Non si può parlare di una situazione di disoccupazione giovanile esplosiva. Ciò non significa che non esiste un problema anche grave d’inserimento delle nuove generazioni nell’attività produttiva e sociale. Questo inserimento è avvenuto in modi distorti che non danno un’effettiva sicurezza per l’avvenire e consentono soltanto una collocazione subordinata nel mondo del lavoro. Il problema non è quello drammatico dell’occupazione che angoscia i giovani meridionali, ma riguarda piuttosto le forme e i modi in cui avviene l’inserimento lavorativo. Da noi, proprio perché i giovani hanno spesso un lavoro non tutelato, risulta difficile per il movimento operaio costruire con essi un rapporto. Nei settori terziari o nelle piccole industrie lo stesso processo di sindacalizzazione è scarsamente diffuso, al contrario delle grandi fabbriche.»

Bassolino «La questione giovanile è oggi, per il Mezzogiorno, il problema fondamentale. Alla sua soluzione è legato lo stesso tipo di sviluppo delle aree meridionali, il carattere intellettuale che esso ha, rende, infatti, possibili due strade: la continuazione di uno sviluppo corporativo assistenziale per il quale esistono margini nazionali ed europei, oppure un’alternativa fondata su uno sviluppo integrato tra agricoltura e industria, campagna e città e capace di utilizzare appieno la scienza e la tecnologia per un cambiamento generale della qualità dello sviluppo.»

 

Proprio per recuperare un rapporto con i settori giovanili meno protetti, abbiamo accentuato, penso al discorso di Genova di Enrico Berlinguer, la necessità di un’alleanza più stretta fra classe operaia ed emarginati. Che cos’è l’emarginazione oggi, in un’accezione non solo economica per i giovani, in due realtà così diverse come Milano e Napoli?

Terzi «Sarei cauto nell’uso del termine emarginazione perché rischia di darci un’immagine della situazione non corrispondente alla realtà. È vero che grandi masse di giovani si trovano del tutto escluse dall’esperienza sociale e lavorativa, ma questo riguarda solo alcune zone del paese. Per il nord bisognerebbe forse trovare un termine diverso. C’è, da noi, un inserimento nella società, precario, contrastato, difficile, che lascia insoddisfazioni nella coscienza e nel modo di essere della gioventù. A questa insoddisfazione noi dobbiamo una riposta e un impegno di lotta, ma non possiamo tuttavia tacere dell’esigenza di fare un’attenta analisi delle forze sociali in campo a Milano. Lo stesso mondo giovanile è articolato al suo interno e non può essere visto come una massa amorfa, Ecco perché non possiamo accentuare, oltre un certo limite, la tematica dell’emarginazione, pena il rischio di capovolgere la strategia di alleanze del nostro Partito, sostituendo al rapporto con il ceto medio produttivo la ricerca di altre alleanze fumose ed improduttive.

Nel sud certamente le cose sono diverse. Credo che anche lì ci sia l’esigenza di mantenere una politica di alleanze che non guardi soltanto agli emarginati, ma non sta a me fare analisi di situazioni che conosco molto approssimativamente. Il nostro compito è quello di proporre al paese un progetto capace di comporre in modo non ideologico le esigenze degli strati sociali cui ci rivolgiamo. Dobbiamo, però, sapere che ci sono contraddizioni oggettive non risolubili con schematiche giustapposizioni. È necessario affrontare alcuni nodi e sciogliere conflittualità di interessi, risolubili solo con un’effettiva ripresa dello sviluppo economico, capace di attenuare, se non di superare, squilibri e dislivelli sociali. Se rimane il dato di fondo della crisi, le contraddizioni, anche degli strati sociali cui noi ci rivolgiamo, sono destinate ad accentuarsi.

Andando poi al di là della dimensione puramente economica, credo ci sia una certa disgregazione civile che coinvolge in modo pesante alcuni settori consistenti delle giovani generazioni. Si apre qui un discorso vasto e complesso. A me pare di poter dire che ci troviamo di fronte, rispetto all’esperienza e alla formazione tipica del ‘68, ad una forte correzione, ad uno spostamento di accento che va interpretato con attenzione. È un fenomeno che ha in sé una certa ambiguità.

La generazione del ‘68 era caratterizzata dalla tendenza a ricondurre tutti gli aspetti della vita e della condizioni umana alla dimensione politica. Ciò comportava anche degli aspetti grotteschi. Basti pensare all’atteggiamento verso la cultura, per cui tutto quello che non era immediatamente riportabile ad una concezione dogmatica del marxismo, veniva considerato segno della reazione e della decadenza borghese. Oggi c’è una correzione che apre il varco anche a pericoli di ritorno al privato e di abbandono dell’impegno politico. Non sono, però, possibili giudizi sommari. Non c’è soltanto il riflusso, ci troviamo di fronte anche al recupero di esigenze di individualità soggettiva e di arricchimento culturale a cui dobbiamo dare delle risposte concependo in modo più aperto il rapporto tra politica e vita.»

Bassolino «Il termine “emarginati” può anche essere improprio come tanti termini nel dibattito politico italiano. Il problema è, però, di sostanza e riguarda la questione delle alleanze della classe operaia. Dobbiamo avere, infatti, la consapevolezza che occorre aprire un nuovo e decisivo fronte con soggetti e protagonisti sociali nuovi: masse femminili e giovanili e di lavoratori precari che sono oggi emarginati dallo sviluppo produttivo del paese. Sia chiaro, però, che il termine «emarginato» che è improprio, e va certo usato con attenzione, non ha per me un significato solo economico sociale, ma riguarda la vita politica e lo Stato. L’VIII congresso del nostro Partito con la sua parola d’ordine: «Per una via italiana al socialismo unità della classe operaia con i contadini e il ceto medio», rappresentò una grande novità della nostra elaborazione, adeguata alla società di allora. Quale è, invece, oggi la situazione oggettiva e strutturale che ci troviamo di fronte? Dobbiamo registrare una crescita della società, conseguenza dello sviluppo capitalistico, e la presa di coscienza di grandi forze nuove, determinata dall’azione del movimento operaio. In conseguenza di questi processi non siamo più di fronte a masse segnate dalla arretratezza che andavano conquistate ad un ruolo progressivo, ma dobbiamo registrare lo spostamento di grandi masse di giovani e di donne, in termini oggettivi e soggettivi, verso la classe operaia.

Ecco perché la questione dell’egemonia e della centralità della classe operaia si pone in termini nuovi: esse non sono fatti a priori, acquisiti una volta per tutte, ma vanno conquistati giorno per giorno perché queste fasce di giovani, donne, emarginati pongono il problema di arricchire la nostra strategia con il loro contributo autonomo. In Italia il ‘68 ha scavato molto più in profondità di quanto noi stessi pensiamo, con una peculiarità rispetto agli altri paesi europei dovuta al nostro rapporto con la società. Da allora si è aperto uno scontro generale su chi e come si dirige, che è all’origine della crisi italiana. Dallo scontro tra queste spinte alla trasformazione e tentativi di incorporarla nello stato assistenziale deriva quel processo di democrazia diffusa e di corporativizzazione che sono le due facce della crisi italiana e che camminano insieme negli stessi soggetti sociali. Per questo il termine «riflusso» non mi convince molto. Facciamo alcuni esempi: nel rifiuto di molti giovani ad andare alla catena di montaggio nelle grandi fabbriche del nord non vi è solo un fatto «regressivo», ma anche la domanda di una nuova qualità del lavoro. Gli stessi disoccupati organizzati di Napoli si presentano con queste due facce: crescita democratica di nuovi soggetti sociali e, insieme, spinte che chiedono assistenza.

Il problema vero, dunque, è rappresentato dalla necessità di andare ad un consolidamento delle molteplici esperienze di democrazia di base che si sono sviluppate nel nostro paese. Non abbiamo avuto troppa democrazia, ma, al contrario, dobbiamo prendere atto che il processo di socializzazione della politica, che si e sviluppato in questi anni, non porta meccanicamente e semplicemente ad una trasformazione dei meccanismi istituzionali e richiede un nostro impegno per modificare le basi e le strutture dello Stato. Se non riusciamo in questa impresa corriamo il rischio, già segnalato da Gramsci, di assistere ad un mutamento della democrazia di base in corporativizzazione della società.»

 

La FGCI incontra oggi, nonostante il processo di riforma politico organizzativa, avviato con il Congresso di Firenze, crescenti difficoltà. Esiste il rischio che in alcune regioni il Partito cerchi un rapporto diretto con i giovani? Come evitarlo?

Terzi «La tendenza a risolvere direttamente con gli strumenti del Partito il problema del rapporto con le nuove generazioni, è sbagliato e da combattere. Rimane indispensabile, necessaria un’organizzazione specifica della gioventù. D’altra parte tutte le considerazioni che abbiamo cercato di fare sui problemi reali dei giovani, individuano un campo di iniziativa differenziata nella condizione giovanile che non può essere considerata questione marginale da affidare ad una commissione del Partito, ma va affrontata in tuttala sua complessità. A me pare che in quest’ultimo periodo, grazie anche allo sforzo della FGCI di cercare meglio una dimensione diversa da quella del Partito, si e avuto un certo miglioramento della situazione. Alcune esperienze importanti sono state fatte ed oggi la FGCI ha a Milano una sua presenza specifica.

Questo processo è, però, esposto a difficoltà più generali in una situazione in cui il rapporto della classe operaia con i giovani corre pericoli di deterioramento. Si tratta di combattere su un fronte molto esposto, ma questo non toglie nulla anzi accentua la necessità di un’organizzazione autonoma dei giovani.»

Bassolino «Le crescenti difficoltà della FGCI sono note, ma non credo che esse dipendano dalla scelta di andare avanti sulla strada di una FGCI autonoma e di massa. Chi pensa che sia questo il motivo che ci fa perdere forze che avremmo potuto mantenere con la vecchia forma politico organizzativa, sbaglia. Il problema, infatti, è esattamente opposto: per responsabilità del Partito e della FGCI si procede semmai troppo lentamente sulla strada che porta a rispondere alle esigenze reali delle masse giovanili. La scelta dei circoli politico-culturali era e rimane, in questa direzione, una scelta profondamente giusta. Essa rimanda ad un problema che la FGCI si pose nel 1968- 69, cogliendo nodi reali ma affrontandoli in modo sbagliato.

Abbiamo poi pagato quell’errore poiché esso ha comportato un atteggiamento di chiusura della FGCI di fronte alle novità politiche ed organizzative. La questione va oggi ripresa, lavorando alla costruzione di una organizzazione autonoma e di massa della gioventù italiana, e realizzando in questa direzione una profonda trasformazione della FGCI. A mio avviso, infatti, la FGCI di questi anni, la vecchia FGCI non ha avvenire davanti a se di fronte ai fatti nuovi che avvengono nel mondo giovanile e deve, perciò, profondamente cambiare.»

 

Quale giudizio è possibile dare sui fenomeni di riaggregazione che si sviluppano nel mondo cattolico e sulla ripresa della DC? Che rapporto c’è tra questi due momenti? Quale giudizio date sulla crisi dell’estremismo?

Terzi «La ripresa del mondo cattolico è caratterizzata da un segno integralista. È un recupero di influenza che avviene nel rifiuto della dimensione politica.

Non so se questo processo può essere ricondotto immediatamente sul piano politico, ad una ripresa di egemonia della DC ma non mi pare ci sia un rapporto così diretto. Certo, un movimento cattolico forte aiuta la DC e, soprattutto se i suoi caratteri prevalenti sono l’integralismo e il rifiuto dell’impegno sociale, esso determina una spinta moderata che inciderà sulla DC.

Per quanto riguarda l’estremismo, la sua crisi mi pare si sia accentuata. Esso mantiene una sua consistenza, ma ha perso molto in vitalità e stenta a trovare una sua qualche fisionomia. Ciò determina il prevalere, in quest’area, degli aspetti più deteriori, della spinta irrazionale e della disgregazione. A questo si accompagna qualche processo di settori ancora ristretti di ripensamento e di avvicinamento alle posizioni del movimento operaio. Penso al Manifesto, al PDuP e alle posizioni attuali dell’MLS.

L’isolamento dei gruppi terroristici è aumentato perché è diventata più evidente la loro pericolosità. Molti elementi di ambiguità politica che hanno caratterizzato l’area estremistica tendono ad essere superati.

Certo, però, il processo di disgregazione lascia aperta la possibilità di un reclutamento di forze in tutte le grandi aree urbane che è alla base della permanente pericolosità del terrorismo, nonostante i colpi che siamo riusciti ad infliggergli con la mobilitazione democratica in quest’ultimo periodo.»

Bassolino «Le difficoltà che abbiamo incontrato possono avere convinto alcuni che lo sviluppo che il Mezzogiorno ha conosciuto finora è l’unico possibile e che, è opportuno tornare a fare riferimento a quel blocco di potere democristiano che il movimento operaio è riuscito ad intaccare in questi anni. Questa sorta di «richiamo della foresta» è stato utilizzato dalla DC per tentare di isolare la classe operaia italiana, ridando uno status a settori di ceti medi e di intellettuali, e fornendo assistenza ad emarginati e disoccupati. Abbiamo così subito dei colpi ed il blocco sociale che si era creato intorno a noi con il 15 ed il 20 giugno, si è incrinato. Tuttavia, la situazione oggi si presenta come tutta aperta, poiché la DC è riuscita e riesce ad aggregare molto di più in negativo che in positivo. La proposta di avviare nel Mezzogiorno alcuni processi produttivi nuovi inserendoli, però, nel vecchio meccanismo assistenziale, non rappresenta una prospettiva di lungo periodo. Ecco perché ritengo sia possibile per noi ricostruire il nostro rapporto fra blocco sociale e politica di trasformazione, a condizione di concepire la nostra battaglia nel Mezzogiorno e fra i giovani, non solo come alternativa di sviluppo, ma come alternativa ideale e culturale all’attuale situazione.

Per quanto riguarda poi l’aggregazione cattolica, penso che in questo fenomeno non c’è solo un’operazione della DC per riaggregare forze, ma c’è un fatto più profondo di ricerca di identità da parte dei giovani. La nostra attenzione a fenomeni di questo tipo deve aumentare, poiché essi sono spia di un processo di formazione di autonomie nella società, che delegittimano il carattere di massa dei partiti politici italiani. Certo oggi i partiti non possono essere tutto, ma dobbiamo stare attenti acché non si smarrisca la grande peculiarità del caso italiano che vede i partiti di massa capaci di costruire democrazia organizzata. La DC può, invece, oggi, porsi il problema di diventare un partito mediatore collegato con queste autonomie della società, subendo la tentazione di unire alle sue caratteristiche storiche di questi anni, quella di partito con nuove forme di collegamenti e gruppi di pressione nella società italiana e con un uso strumentale delle aggregazioni del mondo cattolico. Proprio per questo dobbiamo, nella fase che si apre, mantenere un rapporto fortemente critico con la DC, ma essere sempre capaci di tenerla vincolata al terreno della democrazia di massa ed organizzata. Per quanto riguarda i gruppi estremisti infine, io credo che il carattere della crisi italiana e la grande diffusione della politica rendono quasi oggettive e permanenti le possibilità di una loro formazione e presenza. Tuttavia, a me pare che la profonda crisi che attraversano oggi gli estremisti, ci dà la possibilità per la prima volta dopo molti anni di riaprire una grande discorso di massa con la realtà giovanile nel suo complesso. Questo è possibile se non restiamo all’interno di un ambito economicista e devo dire che la FGCI in questi ultimi mesi, penso alla Campania, si è mostrata capace di andare al di là della battaglia per il lavoro in senso angusto, mostrandosi in grado di parlare con i giovani un linguaggio politico nuovo e originale.»


Numero progressivo: G32
Busta: 7
Estremi cronologici: 1979, 28 febbraio
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Interviste/Dibattiti
Serie: Scritti Politici - PCI -
Pubblicazione: “La civiltà futura”, n. 8, supplemento, 28 febbraio 1979, pp. 9-10