L’AMBIENTE NEL CONTRATTO. VERTENZE IN LOMBARDIA

di Andrea Poggio, Carlo Monguzzi, Riccardo Terzi, Rino Pavanello

Il referendum sul nucleare ha posto per la prima volta agli elettori il problema della partecipazione del cittadino alle scelte tecnologiche e produttive. Già era avvenuto nei referendum consultivi locali sugli insediamenti energetici, i centri storici, il traffico.

Se mancano strumenti legislativi o canali istituzionali per queste richieste di partecipazione, è solo segno che si tratta di richieste tanto nuove che la stessa Costituzione andrebbe riletta, che la “riforma istituzionale”, quella vera, potrebbe trovare un nuovo fondamento nell’allargamento dei diritti dei cittadini.

Come pensare che l’industria chimica, il rischio industriale, ne resti immune? Non c’era bisogno delle dichiarazioni dei verdi per capire che il referendum di Massa Carrara non potesse rappresentare un esempio unico. Gorla e la Confindustria l’hanno ben capito.

Allora dieci, cento, mille referendum? È importante considerare il referendum uno degli strumenti possibili, non un obiettivo. Il fine è la difesa della salute e dell’ambiente, la messa in sicurezza e la trasformazione dei cicli produttivi, la ridiscussione di scelte tecnologiche e produttive.

Cose che si ripetono da anni, e che i referendum hanno dimostrato condivise ormai da schiaccianti maggioranze di elettori. Ma non facili da realizzare. Spesso ci mancano conoscenze e forza, i tempi diventano (quasi) epocali, i percorsi non sono mai tranquilli, né indolori.

Alcuni esempi? Si dovrebbero eliminare pesticidi, ripensare l’uso di sostanze chimiche in agricoltura: si è riusciti a malapena a introdurre minimi standard per lo scarico industriale nelle acque di superficie. Le lavorazioni con formaldeide (o altri potenti cancerogeni) non dovrebbero trovarsi nel bel mezzo di centri abitati: lo sostiene anche il testo unico della legge sanitaria e sarà presto una necessità, col recepimento italiano della “direttiva Seveso”.

Ma gli interventi implicano dirottamento di risorse finanziarie, industriali, umane. Quindi capacità di governo, di formazione di esperienze e conoscenze, di creazione di nuove occasioni di professionalità e lavoro. Il referendum, anche il più necessario e utile, ovviamente non basta.

Alle cause di mobilità vissute sinora, tutte dirette dalle necessità aziendali, se ne stanno aggiungendo di nuove, per la difesa ambientale e la tutela del consumatore. Se è vero che il lavoro legato all’uso intelligente delle risorse potrà occupare migliaia di lavoratori e di tecnici, il problema sarà quello di garantire l’apertura di sbocchi occupazionali credibili contemporaneamente alla chiusura di altri.

Scommettiamo che, come si è dimostrato col nucleare, i lavoratori, anche quelli occupati in imprese rischiose, non siano, nella maggioranza dei casi, arroccati nella corporativa difesa di fatiscenti impianti inquinanti e di insidiosi e pestilenziali prodotti. La Lega per l’ambiente e l’Associazione ambiente e lavoro hanno deciso che ci proveranno. Proveranno cioè a verificare se sarà possibile realizzare in Lombardia alcune “vertenze pilota”, costruite da Consigli di fabbrica e associazioni ambientaliste locali nella prossima stagione contrattuale.

Non pretendiamo di annullare differenze, ruoli, contrasti di idee o interessi. Proviamo solo a lavorare insieme dove e come sarà possibile. Se funziona, l’esempio si estenderà.

Tutto ciò eviterà i referendum? Chi lo sa. Non è questo lo scopo. Se anche si arriverà a referendum, sarà per l’impossibilità di ottenere risultati per via contrattuale, e perché le direzioni aziendali non saranno in grado di affrontare l’innovazione e le istituzioni non si presenteranno come sedi di governo, ma povera mediazione di interessi. Come è successo a Massa Carrara. L’importante, semmai, è che i referendum non diventino, o non diventino prevalentemente, il luogo di scontro tra gli interessi della salute e dell’ambiente e quelli del lavoro.

C’è di più. Sin dall’inizio nelle battaglie in difesa della salute, sia dei lavoratori che degli ambientalisti, ha conquistato un ruolo centrale l’accesso alle conoscenze e alle informazioni. È certo che il diritto all’informazione deve essere (e comincia a essere) garantito per legge e assicurato istituzionalmente. Ma è anche vero che, se si riuscisse a mettere in comunicazione il patrimonio di esperienze diffuso tra i lavoratori, i tecnici ambientalisti, la popolazione e i lavoratori delle istituzioni preposte al controllo (basti pensare alle USSL), faremmo tutti un bel salto di qualità.

Gli operatori delle USSL vengono spesso messi sotto inchiesta: il loro ruolo deve invece essere difeso e rafforzato nell’ambito di un’ampia iniziativa unitaria. Saranno centri, reti informative, commissioni: ci stiamo pensando con l’associazione Snop, che raccoglie buona parte degli operatori dei servizi sanitari della prevenzione. E questo fa paura, quanto e forse più del referendum.


Numero progressivo: B49
Busta: 2
Estremi cronologici: 1988, 13 gennaio
Autore: Andrea Poggio, Carlo Monguzzi, Riccardo Terzi, Rino Pavanello
Descrizione fisica: Pagina quotidiano
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: “Il Manifesto”, 13 gennaio 1988