LA VICENDA DELLA DC LOMBARDA

Riflessioni sulla loro e la nostra strategia

di Riccardo Terzi

La linea della scontro frontale portata avanti da De Carolis è stata sconfitta: ma a quali condizioni? Il disegno politico sul quale intorno al nome di Mazzotta si è raccolto un cartello di forze diverse. La nostra risposta ad esso non può essere una meccanica applicazione di formule

Si è conclusa la lunga e complessa fase congressuale della DC milanese, ed è ora possibile una valutazione complessiva dei risultati e delle linee di tendenza che si profilano per l’immediato futuro.

Occorre anzitutto ricordare la particolare situazione che si è creata a Milano con la prova elettorale del 20 giugno. La DC ottiene un risultato vistoso, soprattutto nelle città, ma i protagonisti di questo successo elettorale sono uomini che hanno costruito la loro posizione politica attraverso canali che sono esterni all’organizzazione del partito. De Carolis, che con i suoi 150.000 voti di preferenza si è imposto di prepotenza come un personaggio di interesse nazionale, è sempre stato, e continua ad essere, una sorta di corpo estraneo nella DC. La sua base elettorale è il frutto dello sbandamento e dell’incertezza di ceti borghesi impauriti e dell’abile campagna propagandistica organizzata dal Giornale di Montanelli; l’idea di partito che egli propugna è del tutto estranea alla tradizione della DC, è l’idea di un moderno partito d’opinione, spregiudicato nello stile e nel linguaggio, dichiaratamente conservatore e laico. Il secondo protagonista del 20 giugno, il leader di Comunione e Liberazione, Borruso, è l’espressione di un fenomeno diverso, ma altrettanto insidioso per il ruolo del partito democristiano. Anche in questo caso infatti si registra un processo di aggregazione che avviene al di fuori della DC: il movimento di CL ha una sua organizzazione autonoma e una sua peculiare ideologia integralista e tradizionalista, e non si lascia facilmente inquadrare nelle regole di partito e nelle strutture organizzative della DC.

Si poneva quindi legittimamente dopo le elezioni l’interrogativo se il successo elettorale fosse un segno di ripresa della DC, o se piuttosto non si trattasse dell’apparire di un fenomeno nuovo destinato a snaturare profondamente i caratteri originari del partito. Che cosa poteva scaturire da questa miscela di reazionarismo e di clericalismo? È stato questo un motivo profondo di preoccupazione per il gruppo dirigente della DC milanese, non disposto a consentire la trasformazione del partito in un mero cartello elettorale e a vedere quindi sostanzialmente ridimensionata la propria funzione di direzione politica.

Queste preoccupazioni di ordine interno prendevano corpo in un momento particolarmente delicato e difficile per la DC milanese che, dopo le elezioni del ‘75, ha dovuto affrontare una situazione del tutto nuova, e si è trovata per la prima volta all’opposizione al comune di Milano, alla provincia, ed anche in molti centri di tradizionale egemonia democristiana.

Si è trattato, evidentemente, di un processo traumatico, che ha colto il partito di sorpresa e che ha provocato reazioni emotive. Di fronte all’avanzata della sinistra, alla formazione di nuovi equilibri politici che mettevano in crisi la centralità democristiana, si creava un terreno favorevole all’iniziativa dei settori di destra, i quali hanno potuto far leva sull’orgoglio di partito, sulla volontà di rivincita, e hanno guadagnato terreno indicando la via di un riscatto della DC da ottenersi con una linea di intransigenza e di fermezza anticomunista.

In questo clima, il gruppo dirigente tradizionale della DC milanese, di cui la corrente della base è stata la componente più rappresentativa, non ha saputo contrastare le tendenze all’arroccamento e alla chiusura, non ha saputo dare una risposta politica chiara ai problemi nuovi che erano insorti, e ha quindi subito, senza reagire con efficacia, l’offensiva della destra e dei gruppi integralisti.

Si è quindi aperta una crisi grave, che metteva in discussione l’identità del partito, i suoi connotati politici e ideali, il suo rapporto con la società milanese. Il rischio di una spinta a destra incontrollata e irresponsabile ha preso consistenza, e il dibattito congressuale si è aperto nel clima di questo spostamento a destra. Per molto tempo la grande stampa italiana ha dedicato un’eccezionale attenzione alle posizioni di De Carolis, oggetto continuo di interviste, di articoli, di dichiarazioni, e veniva così avvalorata l’idea che da Milano prendesse avvio un processo destinato a determinare una nuova dislocazione della DC, a mandare in frantumi la linea del rinnovamento e del confronto che faticosamente era riuscita a prevalere all’ultimo congresso nazionale.

La prima ed essenziale considerazione che deve essere tratta dalle conclusioni congressuali è che il partito democristiano ha rifiutato con nettezza l’ipotesi di una trasformazione della sua natura di partito popolare e interclassista, ha reagito, sia pure in ritardo, al pericolo di divenire la cassa di risonanza degli umori e degli egoismi corporativi di quei ceti sociali che sono pregiudizialmente ostili ad ogni rinnovamento e indifferenti alle esigenze di carattere nazionale. È questo un dato importante, non solo dal punto di vista degli equilibri interni della DC, ma perché sarebbero gravissime le conseguenze di un processo che conducesse la DC a dissolversi come partito politico, capace di un’opera di mediazione e di direzione nei confronti dei diversi interessi sociali.

È evidente infatti che la possibilità di un rapporto nuovo con la DC dipende anzitutto dalla capacità di questo partito di operare secondo una visione politica generale, in cui i particolari interessi di classe sono sì rappresentati, ma nel contempo commisurati a un’idea complessiva dello sviluppo del paese. Per scongiurare la minaccia di una lacerazione profonda nella società italiana, è condizione essenziale che le forze politiche sappiano svolgere appieno il loro ruolo, e in particolare è necessario evitare l’esplosione incontrollata degli interessi corporativi e degli egoismi parassitari. La proposta implicita nel discorso di De Carolis è l’esatto rovescio di questa concezione del partito, è la prospettiva dello scontro frontale e la sua logica conclusione politica. Ora, questa linea irresponsabile è stata isolata e battuta.

Occorre però mettere in evidenza un altro aspetto che è emerso dal dibattito interno alla DC milanese. Il nuovo gruppo dirigente, cittadino e provinciale, si è raccolto attorno ad una posizione politica in cui in primo piano sta la volontà di ritrovare il ruolo e l’identità della DC. Ciò è il riflesso dei mutamenti politici degli ultimi due anni, che hanno aperto una crisi profonda nel sistema di potere della DC. A questi fatti la maggioranza del partito reagisce cercando di ritrovare la propria ragione d’essere, considerando che il trauma del 15 giugno può essere una scossa salutare, che costringe tutti a rinnovare i metodi dell’azione politica e a stabilire un rapporto di tipo nuovo con la società. La conclusione pratica di questa posizione è che la DC può avere ancora energie e vitalità sufficienti per ristabilire la propria funzione dirigente, per spostare nuovamente a proprio vantaggio i rapporti di forza.

Si spiega, in questo quadro, l’asprezza che ha assunto la linea di opposizione della DC al comune di Milano: essa nasce infatti dalla convinzione che gli equilibri politici e sociali non si sono ancora assestati, e che molte carte ancora possono essere giocate per cercare di ribaltare la situazione. Dal congresso esce dunque un partito non rassegnato. Ed è indicativo che l’accusa più frequente che è stata usata contro i dirigenti della corrente di Base è che essi avrebbero considerato ormai ineluttabile il compromesso storico, che la loro posizione verso il PCI era una posizione di rassegnazione e di fatalismo. Il cosiddetto «cartello», che ha portato all’elezione di Mazzotta alla segreteria provinciale, fa leva anzitutto sullo spirito di partito, e in esso sono evidenti le tendenze di carattere integralistico, particolarmente accentuate negli esponenti di CL e in alcuni settori di Forze nuove.

È possibile però già da ora, pur con l’inevitabile approssimazione, individuare le linee di un disegno politico. Il tentativo di Mazzotta mi pare quello di assorbire le spinte emotive e integralistiche, che avrebbero potuto condurre la DC in un vicolo cieco, e di ricondurle entro una linea che ripropone la questione dei rapporti col PCI nei termini del «confronto», mettendo l`accento sulla necessità che a tale confronto la DC vada unita, attrezzata e sicura delle proprie posizioni. Le incognite e le ambiguità sono certamente ancora molte, e potranno essere chiarite solo alla luce dei fatti. La minaccia di spostamento a destra è comunque per ora sventata: le correnti di sinistra hanno anzi esteso il loro controllo sul partito, sottraendo per la prima volta la direzione del comitato cittadino ai gruppi moderati.

Ma questa «tenuta» della sinistra è stata possibile al prezzo di un irrigidimento della linea politica: il confronto col PCI si configura come un momento necessario della vita democratica, dato il peso e la vasta rappresentanza popolare conquistati dal partito comunista, ma non può dare luogo ad accordi di governo e a intese di lunga durata, in quanto i due maggiori partiti italiani continuano ad essere i portatori di una diversa visione organica della società e del suo sviluppo. In questo senso il confronto significa anche antagonismo e lotta per l’egemonia.

Da questi giudizi discende la necessità di valutare attentamente lungo quali direttrici possa svilupparsi la nostra iniziativa politica verso la DC. Tenendo ferma la nostra linea generale e la nostra ispirazione unitaria, dobbiamo, a mio giudizio, meglio articolare il nostro discorso, tenendo conto realisticamente di quello che è oggi la DC e di quali sono le scelte possibili all’interno di questo partito. Senza questo esame attento, noi rischiamo di applicare in modo meccanico la linea del «compromesso storico», e di essere noi stessi prigionieri delle nostre formule politiche.

Dopo il grande rivolgimento politico realizzatosi negli anni ’75-‘76, si tratta ora di definire la nostra linea in una difficile fase di assestamento, nella quale mi pare difficile prevedere a tempi brevi degli spostamenti decisivi nei rapporti fra i partiti, e nella quale pertanto la questione è quella di garantire un equilibrio democratico entro il quale il confronto si sviluppi effettivamente, e momenti di intesa possano essere raggiunti sulle questioni più urgenti e gravi della crisi del paese. Milano continua a rappresentare una situazione chiave, È qui che hanno preso corpo più vistosamente i pericoli di destra, ed è qui che va messa alla prova seriamente la possibilità di un confronto democratico con la DC, la volontà di questo partito di cimentarsi davvero in un confronto costruttivo, in cui ogni forza politica si proponga non solo di salvaguardare il proprio patrimonio ideale e il proprio ruolo specifico, ma di concorrere alla difesa del quadro democratico, del patrimonio comune che vive nel libero funzionamento delle nostre istituzioni.

L’errore più grave che potremmo compiere è quello di costringere il partito democristiano a scegliere tra due rigide alternative: o l’intesa di governo generalizzata, oppure lo scontro. Ciò significherebbe vanificare tutto il travaglio che nella DC si è aperto a condannare la DC a subire definitivamente l’egemonia dei gruppi moderati e anticomunisti. La ricerca di vie intermedie è certamente rischiosa, e può dar luogo a soluzioni ambigue, inconsistenti, solo apparenti. Ma tuttavia è questo il problema che oggi va affrontato, e da esso dipendono gli sviluppi futuri dei rapporti politici.



Numero progressivo: G37
Busta: 7
Estremi cronologici: 1977, 11 febbraio
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - PCI -
Pubblicazione: “Rinascita”, n. 6, 11 febbraio 1977, pp. 10-11