LA VERITÀ SULLA BICAMERALE

Contro le bugie interessate

di Riccardo Terzi

Sulla Commissione Bicamerale si sono appuntati gli strali di una polemica velenosa e assai strumentale, ed essa finisce per essere rappresentata come il simbolo e il concentrato degli errori della sinistra. Credo che sarebbe utile una ricostruzione di quella vicenda politica più attenta al contesto reale in cui essa si è svolta e all’effettiva dinamica delle posizioni politiche che si sono venute confrontando. Mi occuperò qui solo di un aspetto, dell’atteggiamento delle organizzazioni sindacali, e in particolare della CGIL, e lo posso fare con cognizione di causa, essendo stato all’epoca responsabile nella CGIL per le politiche istituzionali.

Da una rilettura dei documenti ufficiali esce un’immagine che può apparire sorprendente, e comunque non facilmente compatibile con i giudizi critici successivi, con l’idea diffusa che il tentativo di riforma delle istituzioni sia stata un’operazione tutta di vertice, priva di consenso sociale, o perfino, come qualcuno sostiene, un cedimento colpevole alle pressioni della destra. Occorre anzitutto ricordare che la scelta di istituire una Commissione Bicamerale, che nasce dal Parlamento e risponde al Parlamento, rappresentava; in quel momento, l’unica alternativa praticabile rispetto all’idea di un’Assemblea costituente, che avrebbe avuto il mandato di una generale riscrittura della Costituzione, col rischio di manomettere i suoi stessi principi fondamentali. La tesi dell’Assemblea Costituente, che avrebbe dovuto segnare in modo solenne, con un mandato popolare, il definitivo passaggio alla seconda Repubblica, era fortemente sostenuta non solo dalla destra, ma anche da autorevoli settori della sinistra. Bloccare questa ipotesi e imboccare la strada più prudente di una procedura parlamentare, affidando alla Bicamerale un mandato non di riscrittura, ma solo di revisione parziale della seconda parte della Costituzione, ha rappresentato, in quella particolare congiuntura, una scelta non facile e di grande significato, tutt’altro che un cedimento alla destra, ma all’opposto un argine per impedire una devastazione dei nostri principi costituzionali.

Ed è proprio questa preliminare valutazione, non di metodo ma di sostanza, che è messa in rilievo dalla CGIL nel documento del suo Comitato direttivo: «La scelta di istituire una Commissione Bicamerale, con un mandato delimitato, si conferma come una scelta del tutto opportuna, per evitare i rischi di una rottura costituzionale e di uno stravolgimento delle linee di fondo della Costituzione. Proprio per questa ragione è essenziale che le proposte di correzione concorrano ad una conclusione positiva del lavoro avviato dalla Bicamerale, in coerenza con i principi fondamentali della Costituzione, per bloccare le varie manovre politiche, della Lega e di settori della destra, che puntano ai fallimento della Bicamerale per rilanciare progetti eversivi del disegno costituzionale». Come si vede, la CGIL assume un approccio chiaramente positivo, vedendo giustamente i termini reali del conflitto con la destra e il pericolo di una manovra di destabilizzazione. Il documento del Comitato direttivo, approvato nel luglio del 1997 dopo un’ampia e serrata discussione, è un testo impegnativo, che prende in esame tutte le questioni istituzionali più rilevanti, avanzando precise valutazioni di merito e proposte di modifica.

Tre sembrano essere i problemi fondamentali sollevati.

  • Il primo è la necessità di una compiuta e coerente riforma federalista dello Stato. «La scelta federalista implica alcune precise conseguenze sotto il profilo dell’architettura costituzionale, e in particolare è indispensabile una diversa struttura del Parlamento nazionale. Non è possibile infatti una rigida delimitazione delle competenze, e il sistema non funziona se non sono attivati strumenti efficaci di raccordo tra i diversi livelli istituzionali. Senza questo raccordo, o si ripristina un meccanismo di centralizzazione, o si determina un rischio di frantumazione dell’unità nazionale, con il prevalere di logiche localistiche tra loro contrapposte». Gli sviluppi successivi hanno confermato pienamente questa valutazione, e la situazione attuale è esattamente quella paventata, in bilico tra neo-centralismo e rottura dell’unità nazionale. Si denuncia qui con chiarezza quello che forse è stato il limite principale del progetto di riforma elaborato dalla Bicamerale, la mancata riorganizzazione del Parlamento: questione che oggi appare da tutti condivisa, ma che era all’epoca motivo di fortissime tensioni politiche all’interno dei partiti e dei gruppi parlamentari.
  • Il secondo problema è quello «dell’equilibrio nella distribuzione dei poteri, contro i pericoli di concentrazione autoritaria e contro i modelli di tipo plebiscitario». Non c’è nessun rifiuto pregiudiziale verso le diverse ipotesi riguardanti la forma di governo, compresa quella dell’elezione diretta del Presidente della Repubblica, a condizione che ci sia un bilanciamento dei poteri e una chiara delimitazione delle competenze, mantenendo al Parlamento il suo ruolo fondamentale di organo rappresentativo e conservando quindi il necessario rapporto fiduciario tra Parlamento e Governo. Partendo da questo approccio, si sottolineano sia le funzioni di garanzia affidate alla Corte Costituzionale, sia il valore di principio dell’autonomia dell’ordine giudiziario.
  • In terzo luogo, c’è una nettissima contrarietà a qualunque ipotesi di riformulazione dei rapporti tra sfera pubblica e sfera privata, in quanto si tratta di una materia già definita nella prima parte della Costituzione e quindi fuori dal campo di competenza della Bicamerale. Tale contrarietà era motivata da una prima formulazione del principio di sussidiarietà, la quale poteva essere interpretata nel senso di una politica generalizzata di deregolazione e di privatizzazione. Nel progetto conclusivo questa formulazione viene notevolmente modificata, e in questo senso l’azione di sbarramento opposta dalla CGIL, insieme ad un più vasto arco di forze sociali, ha ottenuto un risultato. Si precisa, d’altra parte che non si tratta affatto di assumere una posizione statalista, ma al contrario di avere una posizione aperta all’autonomia della società civile. Ma questo equilibrio, si sostiene, è già chiaramente definito nel testo attuale della Costituzione e non è quindi necessaria nessuna revisione.

Coerentemente con questa impostazione, che rinvia al dettato costituzionale vigente, si ritiene che i problemi del ruolo delle forze sociali, della loro partecipazione al processo decisionale, della regolazione della rappresentanza, degli strumenti e delle forme della concertazione, non debbano entrare nel lavoro di revisione costituzionale, ma che richiedano piuttosto un’azione legislativa ordinaria, sulla base dei principi ordinatori dell’attuale Costituzione. C’è qui una significativa differenziazione rispetto alla posizione della Cisl, che propone in sostanza una costituzionalizzazione della concertazione. Ma è questo l’unico punto di contrasto tra le Confederazioni, che giungono assai vicine all’approvazione di un documento comune, incagliandosi infine proprio sul problema controverso della concertazione e del suo eventuale riconoscimento costituzionale. In tutte le organizzazioni sindacali c’è il convincimento che il tentativo della Bicamerale debba essere sostenuto e incoraggiato, perché – come dice il documento della CGIL: «la riforma delle istituzioni è una necessità storica per il nostro paese, una condizione ineludibile per il suo sviluppo democratico e civile».

Il fatto significativo è che la presa di posizione della CGIL avviene sulla base di un consenso unitario, con l’adesione anche della minoranza interna più vicina alle posizioni di Rifondazione comunista. Nel momento finale del voto sul documento, si esprimono alcune riserve per l’eccessiva nettezza di alcune posizioni critiche, e per l’affermazione che «le proposte di correzione indicate in questo documento rappresentano per la CGIL un elemento dirimente, in assenza del quale il progetto di riforma risulterebbe gravemente compromesso». Lo stesso Segretario generale Sergio Cofferati avrebbe preferito un documento più morbido e meno ultimativo.

Un altro importante documento da prendere in esame è il testo dell’audizione presso la Commissione Bicamerale dei rappresentanti delle organizzazioni sindacali. Qui è ancora più evidente una posizione di sostegno, senza che venga posta nessuna riserva sostanziale. La discussione in quella sede verte quasi esclusivamente sul problema della concertazione, con le differenze già prima ricordate tra Cisl e CGIL, e sulla necessità di mantenere al Cnel il suo rango di organo costituzionale.

Sui problemi di fondo dell’ordinamento costituzionale, c’è negli interventi dei tre segretari generali, Cofferati, D’Antoni e Larizza, una comune sottolineatura della necessità di garantire stabilità di governo, con un rafforzamento dell’esecutivo e con una sua più forte investitura democratica. Assai chiara è su questo la posizione di Cofferati: «anche per noi, per l’esercizio naturale, quotidiano della rappresentanza che ci viene consegnata dai nostri iscritti, avere come interlocutore un governo che abbia stabilità e consenso riconosciuto dei cittadini, determinato da meccanismi elettorali diversi da quelli utilizzati in passato, è scelta necessaria, è molto importante. Le soluzioni, poi, possono essere tutte quelle che vengono esaminate. Ci sarà un problema delicato di compensazione di rapporto tra i poteri del governo e la rappresentanza assegnata al Parlamento; però, per grandi organizzazioni sociali, un interlocutore che abbia come base un riconoscimento esplicito di carattere elettivo da parte dei cittadini e sia in grado di esercitare il suo ruolo in virtù di una stabilità data da questo esercizio elettorale è l’interlocutore che in ogni caso va privilegiato».

Si può dire che in questo intervento, che non è occasionale, ma avviene nel momento ufficiale dell’audizione delle parti sociali, non si presta l’attenzione necessaria a tutto il problema dell’equilibrio dei poteri, privilegiando in modo piuttosto secco l’esigenza del rafforzamento dell’esecutivo e della sua investitura popolare.

Se oggi possiamo valutare, alla luce delle vicende politiche successive, che tutto il discorso sulla transizione istituzionale è stato viziato da un errore di partenza, dall’aver cioè privilegiato il tema della governabilità rispetto a quello della rappresentanza democratica, non si può certo dire che questa consapevolezza fosse già allora presente negli interventi dei massimi dirigenti sindacali. Rileggendo oggi il resoconto dell’audizione, non si sfugge all’impressione negativa di un approccio da parte delle organizzazioni sindacali assai approssimativo e generico e di un loro contributo piuttosto modesto.

Nella sostanza, si è lasciata alle forze politiche una delega in bianco, non ritenendo che rientrasse nelle competenze del sindacato la discussione sulle riforme costituzionali. E anche sul fronte più direttamente sociale, non c’è un’idea innovativa, come dimostra tutta la discussione sul Cnel, un organo che andrebbe totalmente reinventato nella sua struttura e nelle sue funzioni, e che la pressione congiunta delle organizzazioni sindacali riesce solo a far sopravvivere, senza impostare nessuna ipotesi di riforma.

Valutando oggi, alla luce della documentazione disponibile, la discussione che nella CGIL si è avuta intorno ai problemi della Bicamerale, mi sembra che la differenza principale non fosse tra un giudizio positivo e uno negativo, ma piuttosto tra una scelta di impegno sui temi istituzionali e una scelta più prudente di non sconfinare oltre le competenze tradizionali del sindacato. Vi è stato il documento del Comitato direttivo, che come abbiamo ricordato è entrato direttamente nel merito dei problemi, ma poi non c’è stata continuità d’iniziativa e l’azione sindacale è rientrata nei ranghi. E la preoccupazione principale di Cofferati era, in quel momento, quella di non esporre politicamente la CGIL. In ogni caso c’era in tutta l’organizzazione sindacale un punto di partenza comune, la condivisione cioè del progetto di revisione costituzionale e del tentativo, su questo tema, di un largo accordo politico tra le maggiori forze rappresentate nel Parlamento.

Oggi sembra che più nessuno si voglia assumere la responsabilità di quel tentativo, e molti proiettano sul passato il loro giudizio attuale, con un’operazione propagandistica piuttosto disinvolta. La verità è più complessa. E oggi occorre da parte di tutti un serio approfondimento di tutti i nodi istituzionali per non trovarsi disarmati di fronte alla nuova offensiva politica organizzata dalla destra. Non possiamo né ignorare il problema, né rinviarlo ad un futuro remoto, né possiamo salvarci l’anima dicendo che con la destra non è possibile nessuna discussione. Dobbiamo costruire una proposta. E anche il sindacato deve concorrere attivamente a questa ricerca e a questa discussione, se vogliamo che si tratti di un processo democratico reale e non di un’operazione di vertice.



Numero progressivo: C30
Busta: 3
Estremi cronologici: 2003, gennaio-febbraio
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Fotocopia pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Sindacali - CRS -
Pubblicazione: “Argomenti umani”, gennaio - febbraio 2003, pp. 74-78