LA SINISTRA NAVIGA A VISTA

di Riccardo Terzi

Con il nuovo anno non si sono ancora diradate le nebbie sull’orizzonte della sinistra italiana. L’imminenza del prossimo decisivo appuntamento elettorale non ha finora determinato un visibile cambiamento di marcia: si continua a navigare a vista, con piccoli espedienti tattici, con complicate alchimie politiche all’interno della coalizione, e con uno sforzo propagandistico inutilmente vistoso e di fatto inconcludente, senza saper offrire all’elettorato una prospettiva, una proposta per l’Italia, ma solo un coacervo confuso di promesse, rincorrendo spesso la destra sul suo medesimo terreno. La coalizione non dispone ancora di una struttura, di una coesione sostanziale, di un progetto comune, e all’interno della coalizione la sinistra non riesce a declinare una propria autonoma identità. Molti possono essere tentati di lasciar andare alla deriva questa sinistra, questi suoi gruppi dirigenti, sperando, come nella tragedia classica, nella possibile catarsi che si dischiude dopo la catastrofe. Ma il futuro sarà solo il risultato di ciò che noi già da oggi sappiamo predisporre.

Non ci è dato un altro tempo, un’altra ipotetica congiura favorevole, ma possiamo solo, dentro l’attuale crisi della sinistra, cercare di aprire dei varchi verso il futuro, e dare inizio ad un discorso di prospettiva che sia minimamente riconoscibile.

Nessuno può tirarsi fuori dal necessario esame critico ed autocritico. La mediocrità della situazione non è solo il riflesso della mediocrità dei gruppi dirigenti, ma anche della fragilità e dell’inerzia di quanti si sono venuti adattando al nuovo corso delle cose, con qualche protesta, con qualche distinguo metodologico, ma senza mai condurre una vera battaglia politica in campo aperto.

La competizione elettorale non deve essere, ancora una volta l’occasione di un rinvio, di un’attesa, seguendo il precetto di non disturbare il manovratore, perché ciò che è in discussione è proprio la direzione di marcia del convoglio e la capacità di chi lo guida.

Domani può essere già troppo tardi.

La politica, in fondo, è la capacità di padroneggiare il tempo, di fare le scelte necessarie nel momento in cui possono essere efficaci. E di tempo ne abbiamo già perso troppo.

Il discorso sul futuro si interseca, necessariamente, con la ricognizione storica del passato. L’identità di un movimento politico, infatti, è la sua durata nel tempo, il suo spessore temporale, il luogo di congiunzione tra tradizione e progetto. È proprio questa dimensione storica concreta che la sinistra ha smarrito, perché non si sa né da dove viene né dove vuole andare. La sua dimensione è solo il presente, e in questa dimensione conta solo l’imperativo di vincere, perché non esistono più le risorse strategiche per fronteggiare una battaglia di lungo periodo. Se c’è solo il presente, la sconfitta è senza scampo.

L’immagine di sé che l’attuale sinistra sa offrire al paese è quella di una classe dirigente tecnicamente affidabile, che dà garanzie sul terreno dell’efficienza e della professionalità politica. Il messaggio è: noi possiamo fare meglio della destra quello che la stessa destra promette. Possiamo garantire sicurezza, flessibilità, modernizzazione, competitività. Ma proprio per questo, mancando un progetto che vada oltre l’equilibrio dato delle forze in campo, giocando solo la carta della governabilità, una sconfitta elettorale sarebbe irrimediabile. L’attuale politica della sinistra ha un senso solo se vince. È evidente che si tratta di un calcolo estremamente azzardato, di una tattica di breve respiro.

Manca ciò che nella politica è sempre essenziale, la riconoscibilità di un progetto e di una identità storica. L’anniversario della scissione di Livorno e della fondazione del PCI poteva essere l’occasione per un bilancio, per un riposizionamento politico e teorico. È stata un’occasione del tutto sciupata. Il maggior partito della sinistra, che dovrebbe essere l’erede legittimo di quella storia politica, ha scelto, ancora una volta, la strada della rimozione e dell’oblio, fingendo di essere non un prodotto della storia, ma l’ultima nuovissima invenzione lanciata sul terreno del mercato politico da qualche testa illuminata. Restando, quindi, tutte le ambiguità e le approssimazioni della “svolta”, resta invalidato il limite di una operazione politica dettata solo dall’urgenza, dalla necessità, guidata dall’intuizione, ma non sostenuta da un nuovo sforzo di pensiero e da un’analisi storica.

Ma questo silenzio pesa come un macigno, perché tutti i problemi di quella storia restano irrisolti, indecifrati, aggirati, sostituendo la ricerca della verità con una troppo scoperta furbizia, e lasciando che il corpo organizzato del partito non sappia più declinare la propria identità e non sappia con quali armi rispondere all’offensiva politica della destra avendo a disposizione solo la retorica dei buoni sentimenti, che in politica, come è noto, non serve a nulla.

Se i Ds hanno scelto come loro carta d’identità la totale indeterminatezza, il partito leggero non solo sotto il profilo dell’organizzazione, ma anche sotto il profilo delle idee, sull’altro versante i due partiti che si dichiarano tuttora comunisti, più per testardaggine che per coerenza, fingono una robustezza ideologica che è ormai solo un espediente per sopravvivere, e il loro approccio con la storia del Novecento è solo di tipo propagandistico.

Nel campo del socialismo italiano, il panorama attuale è ancora più spettrale e devastato, e continuano gli effetti distruttivi di una diaspora che ha completamente dissolto l’eredità storica del PSI, fino a giungere, da parte di qualche reduce craxiano, al miserevole accattonaggio di qualche posto della variopinta corte del capo della destra.

In tutti i casi, la sinistra rischia di smarrire se stessa, tra disinvolti revisionismi storici e improbabili resurrezioni, tra chi finge di non avere un passato e chi finge di avere un futuro, e rischia soprattutto di non incidere nella realtà perché non dispone di una teoria per interpretarla.

C’è una possibile via d’uscita? Ci può essere solo a condizione di uno straordinario impegno per ridefinire i connotati essenziali della teoria socialista, il suo nucleo possibile di verità nelle nuove condizioni del mondo globalizzato. Le nostre difficoltà, infatti, non sono solo pratiche, ma teoriche, perché l’idea di fondo di una regolazione politica della società e dell’economia, di una nuova statualità che si sostituisce al mercato, non ha retto alla verifica storica ed è entrata, da tempo, in una crisi evidente. Dobbiamo nuovamente porci la domanda: qual è il nostro progetto di società? E la risposta a questo interrogativo si presenta oggi molto più problematica e complicata, sia perché le vecchie ricette statalistiche e dirigistiche sono tramontate, e non basta quindi invocare il primato della politica, sia perché si tratta ora di fare i conti con i processi di globalizzazione, e cambia quindi tutta la dimensione della politica e dell’azione sociale. La risposta, a questo punto, deve essere una risposta globale, un’idea di regolazione dei processi mondiali, riattualizzando, in questo nuovo contesto, tutto il tema dell’eguaglianza, dei diritti sociali, della liberazione del lavoro.

Nell’epoca del liberismo dominante, della sfrenata competizione e delle crescenti contraddizioni planetarie, il tema dell’eguaglianza torna ad essere la bussola fondamentale su cui orientare la politica della sinistra. L’alternativa tra destra e sinistra si gioca su questo discrimine, tra accettazione del liberismo e dei suoi effetti sociali e viceversa, costruzione di una politica che mette al primo posto l’universalità dei diritti. Tutto ciò è chiaro oggi, concretamente, nelle discussioni che sono aperte sul diritto del lavoro, sullo stato sociale, sull’immigrazione, sulle relazioni dell’Occidente con il terzo mondo. Ma proprio su questi stessi terreni la sinistra attuale non riesce a prospettare una chiara linea alternativa, chiara per i suoi obiettivi e per il blocco di forze sociali che vuole rappresentare.

Non ce la caviamo con la formuletta del “socialismo liberale”, che è solo un modo per non prendere posizione, per non agire nel conflitto, predisponendosi così alla resa. Ora, di questa crisi teorica, di questa necessità di ridefinire il progetto sociale, la sinistra italiana non sembra volersene occupare, per vecchio dogmatismo o per rinuncia. Ma è un punto politico essenziale, perché un grande movimento collettivo non si mette in moto e non si sviluppa se non c’è un’idea forza, un obiettivo storico in vista del quale assumono un loro preciso significato tutti i passaggi intermedi, i movimenti parziali, le oscillazioni sempre provvisorie dei rapporti di forza. In questo senso, l’ideologia è il sostrato necessario della grande politica.

Anche la società contemporanea, nonostante le apparenze, è impregnata di ideologia, di miti, di rappresentazioni simboliche, e la forza attuale della destra è il risultato di una efficace offensiva ideologica, di un’operazione politica che sa unire interessi e passioni, rappresentanza sociale e universo simbolico. Se non si costruisce una prospettiva politica che abbia questo spessore questa capacità di creare identità collettiva e mobilitazione sociale, la partita non può essere vinta.

Per queste ragioni, ci sarebbe bisogno oggi di una nuova ricetta, di un nuovo sforzo progettuale, superando le ragioni contingenti delle appartenenze di partito o di corrente. In questo senso ha un effetto del tutto nefasto e deviante la teoria, bertinottiana e veltroniana, delle due sinistre: una sinistra alternativa e una di governo. Questa teoria significa che l’alternativa è velleitaria e impotente, e che il governo è solo la gestione di un equilibrio sociale bloccato. Le due sinistre sono entrambi perdenti, per opposti motivi, ed entrambe poco attrattive, perché destinate l’una alla marginalità, l’altra all’immobilismo. E questa rassegnata accettazione di una divisione di principio, ideologica, nessuno cerca più di riaprire il confronto, politico e teorico, ciascuno cullandosi nella pigrizia di un ruolo predeterminato. È questo stato di cose che va radicalmente rimesso in discussione.

L’attore decisivo per un nuovo processo politico a sinistra non può che essere, per ragioni oggettive, il partito dei Ds. Ma tutto deve essere ridiscusso e verificato: regole democratiche della vita interna, prospettiva politica, gruppo dirigente. Va aperta una nuova fase costruttiva, per delineare i caratteri di fondo di una forza socialista, i suoi referenti sociali, la sua cultura politica, il suo sistema di alleanze. La stessa campagna elettorale può essere raddrizzata e qualificata nei suoi contenuti se questo lavoro di ricostruzione comincia ad essere impostato. L’apatia e la disillusione possono essere superate solo se si dimostra che la sinistra si sta riorganizzando, che si è aperto un nuovo laboratorio socialista, guardando alle elezione e oltre le elezioni. Sono in gioco, come dice la testata di questa rivista, le “ragioni del socialismo”, che vanno oggi ripensate nella loro vicenda storica e riattualizzate nel nuovo contesto sociale.



Numero progressivo: H53
Busta: 8
Estremi cronologici: 2001, aprile
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - Riflessioni politiche -
Pubblicazione: “Le ragioni del socialismo”, 2001, pp.27-29