IL WELFARE E LA CONDIZIONE DEGLI ANZIANI

Il welfare nella crisi globale, Reggio Emilia 31 gennaio 2014

Relazione di Riccardo Terzi (sintesi non rivista dall’autore)

Sono sicuramente avvantaggiato dagli interventi che mi hanno preceduto, che hanno dato un quadro di insieme molto allarmante. Possiamo dire in modo sintetico che è saltato l’equilibrio tra capitalismo e democrazia, costruito dalle politiche socialdemocratiche, riformiste. Questo equilibrio entra in sofferenza quindi rimettere insieme le ragioni dello sviluppo economico e le ragioni sociali e democratiche diventa un compito molto complicato.

Io parlerò dell’invecchiamento, ne parlo come di una questione politica perché è abbastanza sorprendente il fatto che i fenomeni che sono in corso in Italia, ma in tutti i paesi sviluppati (l’andamento demografico che porta a un aumento molto forte, molto marcato della vita media insieme anche a un calo della natalità quindi a un cambiamento nella composizione sociale del paese) di questo la politica non se ne occupa.

Se la politica è il modo in cui organizziamo la nostra vita collettiva credo che noi di questo dobbiamo parlare, vedere come riprogettare la società alla luce di questo processo.

Intendiamoci, non è l’unica assurdità della politica, c’è quasi tutto. Direi che noi abbiamo davanti grandi cambiamenti sociali, uno è questo dell’invecchiamento, poi c’è il cambiamento del lavoro, della precarizzazione del lavoro.

Ne hanno parlato a lungo gli interventi precedenti e anche qui c’è un silenzio e c’è l’illusione di affrontarlo con qualche piccolo aggiustamento delle regole del mercato del lavoro. Qui dobbiamo porci il problema della piena occupazione ma anche, io credo, in attesa che una politica di piena occupazione possa realizzarsi, dare le coperture sociali indispensabili a quelli che sono senza lavoro.

Poi c’è un altro capitolo che qui non affronto ed è il capitolo dell’immigrazione, questo è un altro grande cambiamento che avviene nella vita delle grandi città, una tragedia forte, consistente, variegata di persone che cercano qui lavoro, dignità, diritti e si trovano in condizioni spesso disperate. Quindi tutto il tema dell’immigrazione, del riconoscimento della cittadinanza, anche per queste persone è un tema cruciale.

Comunque queste nuove emergenze sociali richiedono una ridefinizione degli obiettivi di una politica di welfare. Entriamo nella società che viene definita da molti studiosi “società dell’incertezza”.

Aumentano i casi di incertezza nella vita di ciascuno di noi, il lavoro è un lavoro intermittente, non c’è il posto sicuro, allora l’esigenza di welfare diventa un’esigenza forte.

Da che cosa nasce lo stato sociale?

Nasce dalla necessità di offrire una sicurezza, una risposta ai periodi in cui una persona si trova in difficoltà, una risposta alle incertezze di vita: l’incertezza del lavoro, l’incertezza dell’invecchiamento, l’incertezza della condizione di salute.

Se questi dati di incertezza diventano ancora più accentuati (perché tutta la società è una società ipercompetitiva che mette a rischio ciascuno di noi in questa competizione) se non vogliamo tutti diventare frenetici, impazziti in questa corsa al successo, abbiamo bisogno di avere una rete di protezione sociale forte. Qui sono molte le connessioni tra politica di sviluppo e politica sociale di cui si è parlato.

Questo può essere fatto in una visione non soltanto pubblica, statalistica. Sono personalmente favorevole ad una politica e ad una pratica di sussidiarietà, a condizione che siano chiari gli obiettivi. Non la sussidiarietà che serva a smantellare il pubblico, ma che serva ad arricchire l’intervento complessivo con una forte manifestazione di collaborazione tra pubblico e privato.

Il tema dell’invecchiamento è stato affrontato fin qui dal governo, in Italia, ma anche a livello europeo, con una logica di contabilità di tipo economico. Si allunga l’età della vita, aumenta il numero degli anziani, costano troppo le pensioni e quindi blocchiamo, tagliamo le pensioni. È quello che si è fatto con il blocco di tutti gli strumenti di adeguamento delle pensioni al costo della vita e aumentando forzosamente l’età pensionabile, senza distinguere tra le diverse situazioni, le diverse esigenze delle persone, senza distinguere tra le varie tipologie di lavoro, soprattutto.

Non è la stessa cosa lavorare su una catena di montaggio o in un’aula universitaria. Questa totale indifferenza tra le diverse situazioni, condizioni di salute, tipo di lavoro, situazioni familiari, progetti di vita è impressionante.

Lo SPI CGIL dice che è necessaria una revisione di fondo del sistema pensionistico così come è uscito dalle decisioni del governo Monti, con la legge Fornero, perché introduce una rigidità che non regge. Questa rigidità ha determinato il fenomeno degli esodati che non è un fenomeno contingente, diventa strutturale perché si apre un fossato sociale per quelli che per varie ragioni perdono il lavoro e non hanno ancora i requisiti per accedere alla pensione.

C’è questa cosa strana che da una parte si dice: “dovete lavorare di più” e dall’altra le imprese quando uno ha cinquant’anni lo considerano un peso morto e cercano di sostituirlo con energie più fresche; per cui c’è tra questi di 50, 60, 65 anni un’emergenza sociale che non è affrontata e un sistema pensionistico così irrigidito rende sempre più drammatico e grave questo fenomeno.

Quindi, flessibilità è la prima esigenza.

Inoltre, come sapete, c’è stata tutta una retorica (in particolare il governo Monti si era specializzato in questo) che continua, quella della contrapposizione tra le diverse generazioni, dove gli anziani sono un freno, quelli che tendono a conservare i loro privilegi. Forse per qualcuno è così, non nego che esistano anche anziani privilegiati ma, e guardiamo i dati allarmanti di quello che è oggi il livello medio della pensione, della stragrande maggioranza delle pensioni degli anziani, è difficile vedere in questa categoria una forza di conservazione del privilegio.

C’è stata però questa retorica; tutto viene fatto, qualunque misura viene fatta per aprire nuove prospettive ai giovani: le riforme del mercato del lavoro, quella previdenziale. Poi si è aggiunta un po’ di retorica dei rottamatori, il giovanilismo come valore, come nuova etimologia che cerca di presentare le generazioni più anziane come quelle che devono semplicemente mettersi da parte.

A parte questo sconclusionato discorso, io credo che qui davvero tocchiamo un punto nevralgico che riguarda il modo in cui pensiamo la vita democratica del paese, perché il vero tema delle persone anziane è quello di essere riconosciute come parte attiva nella vita sociale e democratica del paese.

Non chiediamo trattamenti di favore ma che vi sia parità di diritti e di doveri.

C’è questa retorica che dice che gli anziani devono essere messi da parte oppure vengono considerati soltanto come un caso di assistenza. Un po’ di retorica caritatevole, il vecchio che in qualche modo va aiutato a stare in vita ma in una visione dove non c’è il riconoscimento della persona. È indicativo che quando una persona anziana finisce in un ospedale o in una casa di cura, viene trattato come un bambino, gli si dà del tu. È appunto il fatto che esce fuori dalla cittadinanza, non è più riconosciuto come una persona, tutt’al più come un caso patetico che merita di un po’ di solidarietà.

Il tema dell’invecchiamento è un tema politico, è il tema della cittadinanza, quello che spesso viene chiamato l’invecchiamento attivo, come se ne è parlato anche a livello europeo.

Invecchiamento attivo vuol dire pienezza della cittadinanza, avendo due bussole secondo me, l’autonomia della persona e la socialità.

Autonomia della persona, perché ciascuno deve poter scegliere liberamente il proprio progetto di vita. D’altra parte, se guardiamo a come è cambiato il modo di invecchiare nelle nostre società contemporanee, vediamo che, anche per i cambiamenti avvenuti nella cultura della famiglia, l’invecchiamento spesso avviene nella solitudine o comunque senza avere una rete protettiva.

Ciascuno deve scegliere e deve essere messo in grado di scegliere in modo autonomo il proprio percorso di vita, ma l’autonomia della persona richiede di stare insieme alla socialità. Non è contradditorio perché la persona si realizza dentro ad una rete di relazioni, nessuno si realizza in una logica puramente individualistica e la socialità è vera se vi sono persone vere, non la socialità del gregge, ma la socialità di una relazione forte tra persone libere di scegliere i propri progetti. Questo è il tema che dobbiamo affrontare, facendo un lavoro per evitare le trappole dell’invecchiamento.

L’invecchiamento è comunque una fase critica della vita, non possiamo fare delle retoriche un po’ ciceroniane: come è bella la vecchiaia!

È un passaggio critico della vita in cui però ciascuno deve riprogettarsi, deve ridefinire la sua identità, ridefinire le sue relazioni, il suo modo di stare dentro alla società e dentro al mondo che è un’operazione delicata. La trappola scatta quando alla fine uno non ce la fa a compiere questo passaggio e finisce in una posizione di isolamento, di solitudine, di emarginazione o con uno sguardo rivolto soltanto all’indietro, schiacciati dalla memoria. Il momento in cui davvero si diventa vecchi è quando non si riesce più ad immaginare un futuro ma si vive soltanto di rimpianto e nostalgia, una nostalgia spesso anche rancorosa di una persona che non riesce più a vivere in sintonia con il proprio tempo e con il cambiamento del proprio tempo.

Per evitare queste trappole, occorre un lavoro sociale, un lavoro politico che in parte è quello che facciamo come sindacato dei pensionati. Anche tutta l’attività negoziale non è soltanto economica, non è soltanto la difesa del reddito, la difesa del livello delle pensioni; è la costruzione di una socialità che dia un senso alla prospettiva tra le persone.

Il sindacato dei pensionati è un sindacato particolare che potremmo anche chiamare sindacato filosofico perché nella vecchiaia si pongono le domande di fondo sul senso della vita e sono domande filosofiche.

Comunque è alla persona nella sua globalità che ci rivolgiamo, però questo non può essere fatto soltanto dal sindacato dei pensionati. È un tema della politica, è un tema di tutto il sindacato e qui c’è da vedere che cosa succede della politica ma non mi dilungo perché bisognerebbe fare un discorso molto lungo e complicato.

C’è una assurdità della politica di fronte alle grandi emergenze sociali. Dico di più, io sento che stiamo entrando in una fase dove la politica cambia pelle nel senso che si riduce ad essere il luogo della competizione per il potere. L’unico valore che resta in piedi è la governabilità e questo mi allarma e credo dovrebbe allarmarci un po’ tutti perché guardando le discussioni di questi giorni sulla legge elettorale c’è un fastidio per il pluralismo delle idee, potremmo dire che diventa un fastidio per le idee. Uno che pensa è un pericoloso eversivo. Tutto si riduce a trovare un meccanismo per cui alla fine, la sera delle elezioni, sappiamo chi ha vinto e chi ha perso come se fosse un derby calcistico e non a caso il linguaggio politico che nel passato era un linguaggio militare, adesso è un linguaggio calcistico. Si scende in campo, c’è il fuori gioco, si vince la partita e quindi la politica che dovrebbe essere lo spazio pubblico dove si confrontano le idee, dove si costruiscono le sintesi tra le idee, dove c’è una rappresentanza reale della complessità sociale, si riduce tutto a questo gioco per l’accesso al potere.

Credo che qui si apra un vuoto e in questo vuoto diventa importante quello che riusciamo a fare noi come sindacato.

Noi oggi o rendiamo chiara la nostra autonomia o siamo morti e finiamo anche noi nel gorgo della partita di calcio. Dobbiamo quindi essere una forza capace di rappresentare la realtà sociale e le idee delle persone e di rilanciare un progetto democratico, un progetto di partecipazione democratica altrimenti ci troviamo presi nella morsa tra una politica senza idee, e dall’altra una ribellione antipolitica che finisce per distruggere il tessuto democratico del paese.

Noi siamo in mezzo a questa morsa, un po’ tutto il paese sta dentro a questa morsa tra spinte eversive e spinte democratiche.

Questo rende molto complicato e molto impegnativo il nostro lavoro.

Scusate se mi sono un po’ dilungato con questa incursione non prevista nel campo della politica.


Numero progressivo: D41
Busta: 4
Estremi cronologici: 2014, 31 gennaio
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Stampa da file PC
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - SPI -

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