IL NOSTRO VIAGGIO NEL NOVECENTO

Edgardo Bonalumi

di Riccardo Terzi, in ricordo di Edgardo Bonalumi

Carissimo Edgardo, ci eravamo incontrati a fine agosto, e forse già entrambi, nel nostro sottofondo oscuro e inconfessato, sentivamo che si trattava dell’ultima volta. Non ci siamo scambiati parole, discorsi, ma solo uno sguardo di ansia e di tenerezza. E delle parole non voglio ora abusare perché questa è solo la testimonianza di un’amicizia, che è stata profonda ed autentica. Non abbiamo mai sopportato la retorica i sentimentalismi artefatti, e per questo ti voglio salutare con sobrietà e con serenità come si salutano due persone che sono alla fine di un lungo viaggio in comune, e che non hanno nulla da rimpiangere.

Il nostro viaggio è il viaggio del Novecento, di questo grande secolo, glorioso e terribile, in cui sono maturati tutti gli oggetti delle nostre passioni: il comunismo e la ventata liberatrice del jazz, le lotte operaie e la costruzione di nuove forme culturali, la politica di massa e l’aspirazione verso un nuovo possibile modello di società. È un mondo che sta tramontando, e ciò è nell’ordine delle cose. Ma solo gli imbecilli possono sentire questo tramonto come una liberazione, come un nuovo inizio, per poter camminare senza più portarsi addosso il peso delle vecchie ideologie, per poter finalmente vivere senza la fatica del pensare.

Se ripenso alla nostra amicizia, devo ancora scoprire quale è stato il cemento che l’ha resa così salda, perché non si può dire che ci fosse tra noi una consonanza di giudizi, di analisi, di posizioni politiche. E spesso ci siamo anche scontrati con una certa asprezza. Ma i dissensi riguardavano solo il lato superficiale ed epidermico delle cose, il loro aspetto contingente, mentre c’era un accordo che toccava un livello più profondo della realtà, l’unico forse di cui vale davvero la pena di occuparsi. Lì ci siamo incontrati, non per correre dietro alle contorsioni quotidiane del dibattito politico, ma per cercare di dare un senso più largo, e più duraturo, alla nostra vita e alla nostra esperienza umana.

D’altra parte, negli ultimi tempi eravamo del tutto fuori, per motivi diversi, dai giochi della politica corrente, tu con un disdegno ormai radicale verso tutte le forme politiche organizzate, io con un approccio più flessibile, e forse più tortuoso, ma non meno pessimistico nella sostanza. Ecco allora il Novecento, come il grande deposito da cui tentare di ripartire. Ecco soprattutto la necessità di pensare la politica non come tecnica, come manovra come un insieme di espedienti e di furbizie per poter accedere al potere, ma come il campo in cui si decide ciò che siamo e ciò che vogliamo essere, come singoli e come comunità, e come vogliamo regolare questo rapporto sempre così complicato tra la libertà individuale e quella collettiva, tra l’io e il noi. E per questo dobbiamo liberarci delle ipocrisie, delle retoriche, del dominio opprimente del «senso comune,), di tutto

quell’insieme di impulsi e di vincoli che finiscono per intrappolarci nell’immobilità dell’ordine costituito. La «liberazione» è un’impresa complessa, impegnativa, che chiama in causa tutte le nostre risorse e ci coinvolge in tutto il nostro modo di essere e di pensare. E spesso accade di sentirsi del tutto isolati, perché non si accettano le risposte troppo semplici e consolatorie di cui si nutre la politica corrente.

Ecco, forse è questo il fondo comune che ha dato alimento al nostro dialogo. È il rifiuto del mito illusorio del progresso, e il senso di una condizione umana che è sempre esposta a un possibile esito di disgregazione. C’è tempo per rifletterci più a lungo, e più in profondità. Ma comunque io ti voglio ricordare così, come una persona che cerca non le convenienze, ma la verità, e che proprio per questo esercita la sua intelligenza in modo “spiazzante”, mettendo in discussione tutte le ovvietà, le banalità e i luoghi comuni che ci vengono propinati dall’alto, con l’arroganza di chi, a destra come a sinistra, si è immedesimato nella causa del potere.

Il potere ha sempre questa forza corrosiva, livellatrice, e tende ad appiattire le differenze, a svuotare tutti gli spazi di autonomia. Nella nostra comune militanza politica, ormai lontana, abbiamo visto all’opera questa logica, questo meccanismo, che agiva anche all’interno di una grande organizzazione popolare come il PCI, e abbiamo cercato, senza successo, di immettere nella politica le risorse di una libera partecipazione democratica. Ma, come sai, non è mai il momento, e la libertà è sempre e soltanto un miraggio per il futuro.

Nel momento in cui sento la mancanza della tua intelligenza critica, sento anche che c’è un cammino che può continuare. Comunque sia, quale che sia il destino a cui siamo chiamati, resta intatta tutta la forza di quella comunanza di vita e di idee di cui si è nutrita la nostra amicizia.


Numero progressivo: L41
Busta: 9
Estremi cronologici: 2012, 6 settembre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Fotocopia quotidiano
Tipo: Scritti
Serie: Cultura -
Pubblicazione: “Il Manifesto”, 6 settembre 2012