IL NOSTRO TEMPO FLESSIBILE

Un nuovo sistema di orari; occasione per cambiare il rapporto tra lavoro e vita imposto dalla modernizzazione che comprime i bisogni di donne e uomini

”Dal sociale al politico”, rubrica di Riccardo Terzi

È merito indubbio del movimento delle donne l’introduzione della categoria del “tempo” nella riflessione politica Si tratta di una scelta culturale di grandissimo significato, perché tornano in primo piano i problemi del “ciclo di vita”, ovvero della concreta condizione esistenziale della persona, in opposizione alle concezioni economicistiche che valutano solo gli indici della crescita economica. Parlare del tempo significa infatti parlare del ritmo che regola la vita individuale e analizzare il lavoro non solo per se stesso, come fatto economico, ma nella sua relazione con le diverse sfere in cui si svolge la vita individuale.

«Siamo affamate di tempo»: così si apre un documento delle donne comuniste, che motiva i criteri ispiratori della legge di iniziativa popolare sul sistema degli orari. Si denuncia in questo modo la diseguaglianza reale della condizione della donna, che ha pagato pesantemente le proprie conquiste sul piano del riconoscimento sociale e dell’accesso al lavoro con una “tensione” estrema del proprio ciclo di vita in cui si rincorrono minuto per minuto i compiti legati al ruolo tradizionale della donna e la necessità dell’affermazione di sé nel lavoro, in un ambiente sociale ostile e spesso spietato. Ma questa denuncia ha anche un valore universale, perché è proprio dell’intera condizione umana il fatto di non essere più in grado di regolare il proprio tempo di vita.

Uno sviluppo tutto proiettato al perseguimento della massima crescita quantitativa, regolato dai soli principi di efficienza, di produttività e di competitività, trasforma il “tempo” in una risorsa economica, indifferente alle esigenze soggettive, e costringe tutti a uno stile di vita secondo il quale la soggettività della persona vale solo in quanto si traduce in risultati economici misurati dalle regole del mercato. Il tempo diviene una forza estranea che ci domina, e anche il tempo cosiddetto “libero” soggiace alle medesime leggi. «Nessuna soddisfazione può associarsi al lavoro, che altrimenti perderebbe la sua precisa, modesta funzionalità nella totalità degli scopi, nessuna scintilla di riflessione può cadere nel tempo libero, perché potrebbe rimbalzare sul mondo del lavoro e metterlo in fiamme» (Adorno, Minima moralia).

È necessaria quindi una critica radicale del rapporto che si è storicamente instaurato tra lavoro e vita, e tale critica investe direttamente anche la tradizione del movimento operaio che ha fatto propria un’etica del lavoro, che accetta di fatto il rovesciamento di valori che si realizza nello sviluppo capitalistico.

È prevalso cioè, anche nella sinistra, un giudizio costruito su criteri “attivistici”, e su questa base si sono formate generazioni di militanti che hanno sacrificato la loro umanità, rinviando alla realizzazione mitica di una meta storica finale la conquista di rapporti umani liberi e autentici. Le nuove culture, e in modo particolare la cultura delle donne, rifiutano questa scissione, questa separazione dei fini e dei mezzi, ponendo come questione dell’oggi la realizzazione piena di se e la conquista di una autonoma capacità di governare il proprio flusso di vita.

La proposta di legge delle donne comuniste mi sembra ispirata da queste fondamentali premesse politiche e teoriche. E può essere quindi l’occasione per la grande battaglia culturale contro i modelli sociali dominanti. Il problema non è solo la riduzione del tempo di lavoro, ma una più complessiva riorganizzazione sociale del tempo. Di grande interesse è, in questo senso, l’idea di un piano regolatore degli orari, che si ponga l’obiettivo di coordinare, nelle loro reciproche relazioni, gli orari di lavoro nel settore produttivo e nei servizi, avendo come punto di riferimento le esigenze concrete delle persone, dei lavoratori e degli utenti. A differenza del modello uniforme e rigido che si è affermato nei paesi capitalistici più sviluppati e nella stessa cultura del movimento sindacale europeo, l’ipotesi è quella di un’estrema flessibilità nel governo del tempo. Ma dobbiamo intenderci circa il concetto di flessibilità. Esso ha significati diversi e opposti, a seconda delle finalità e degli interessi che, attraverso l’uso della flessibilità, si intendono promuovere.

Dal punto di vista capitalistico, la flessibilità non è altro che l’uso della forza lavoro in funzione delle esigenze variabili del mercato, il che comparta una crescente precarizzazione del lavoro, e un arretramento rispetto alle conquiste che il movimento operaio ha conseguito negli anni passati in materia di diritti, di sicurezza, di forza contrattuale.

Ora, di fronte a questa offensiva, ha ancora un senso la difesa della rigidità nell’uso della forza lavoro, o non si tratta piuttosto di utilizzare i principi della flessibilità dal punto di vista della classe lavoratrice? Questa è la sfida di oggi: nel governo del tempo far valere le nuove esigenze soggettive dei lavoratori e delle lavoratrici, i loro bisogni differenziati, il loro bisogno di autonomia e di autogoverno. In questo senso, il tema dell’orario non solo deve avere un rilievo centrale nelle piattaforme contrattuali, in modo più marcato di quanto fin qui non sia avvenuto, ma deve dar luogo a una iniziativa politica che affronti il problema più ampio dell’organizzazione sociale e della qualità della vita nei grandi centri urbani.

Un sistema di flessibilità e di differenziazione degli orari è una delle condizioni per decongestionare la vita nelle città, per liberare, nella misura del possibile, la nostra vita dalla schiavitù del tempo uniforme, standardizzato, massificato. In sostanza, accorre una politica del tempo di vita, da far valere in modo antagonistico contro le regole di una modernizzazione che schiaccia i bisogni soggettivi delle donne e degli uomini.


Numero progressivo: H121
Busta: 8
Estremi cronologici: 1990, 18 marzo
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Riflessioni politiche - Scritti Sindacali -
Pubblicazione: “Rinascita”, n. 6, 18 marzo 1990, p. 45