IDEE PER RECUPERARE LO SPAZIO PUBBLICO DEMOCRATICO

di Paola Chiorrini – Formatrice presso l’Istituto superiore per la formazione
Recensione del libro “La pazienza e l’ironia

Il libro ripercorre la storia politica degli ultimi 30 anni con particolare attenzione e approccio critico ai modi con i quali la sinistra ha affrontato i diversi eventi e cambiamenti. Riccardo Terzi, che ha ricoperto dal 1975 al 1981 l’incarico di segretario provinciale del Partito comunista milanese, per poi impegnarsi nella CGIL Lombardia come segretario generale regionale e quindi nello SPI CGIL, propone una selezione, preceduta da un saggio introduttivo, di scritti e articoli relativi al periodo compreso tra il 1982 e il 2010, fornendo al lettore lo spunto per uno sguardo d’insieme sui molteplici mutamenti che si sono delineati nel nostro sistema politico e nel contesto sociale. Si parla del compromesso storico, del movimento operaio, dell’accordo del 1992, del fenomeno della Lega, della rappresentanza sociale, della crisi della democrazia e della sinistra con riferimento al partito e al sindacato.

L’autore racconta di una crisi nel rapporto tra politica e società il cui inizio, a suo parere, si va a collocare nel periodo del compromesso storico, che ne rappresenta un effetto. Proprio con un interessante scritto del 1982 Terzi ci ricorda che il fondamento del compromesso è stato quello dell’unità delle forze democratiche e popolari, con riferimento all’unità antifascista, avanzando l’interpretazione di un compromesso fallito che, invece di fornire una risposta a una situazione contingente, proponeva una risposta a lungo termine, per il futuro. Da qui il suo essere «storico»; da qui, per il Partito comunista, l’errore di agire in termini strategici, pensando al punto di arrivo e non, come più correttamente avrebbe dovuto essere, al mettere in atto scelte tattiche sicuramente più idonee a quel contesto storico-politico di riferimento.

Per questo una significativa indicazione da parte di Terzi, riferita al passato ma di estrema modernità, è quella di agire prestando la giusta attenzione, distinguendole, sia alle strategie che si pongono obiettivi a lungo termine, richiedendo l’impegno di forze che possono modificare gli equilibri in essere, sia alle tattiche che riguardano prevalentemente il modo di agire in contesti ed equilibri dati e definiti. Tutto ciò lo si fa con una forte partecipazione democratica, ed è necessario «pensare alla democrazia non come a una condizione già stabilizzata, ma come a un processo che ricomincia sempre daccapo e che mette in discussione le forme ossificate del potere».

Con alcuni articoli e scritti Terzi affronta quindi il tema dell’indebolimento della democrazia, che è «lo spazio pubblico in cui si mettono a confronto le idee, i progetti, le culture politiche, ed essa richiede sforzo di pensiero, capacità di sintesi e di mediazione, spirito di dialogo e passione politica, tutti requisiti che scarseggiano nel nostro mondo semplificato e bipolarizzato». Con la caduta del comunismo è venuto a mancare per le democrazie dell’Occidente un elemento di tensione: da qui l’affermazione di uno spazio per forze autoritarie, questione che ben conosciamo. Tutto ciò vale ancora di più oggi se pensiamo – come ci ricorda l’autore – che la democrazia, per essere tale, si deve confrontare con uno spazio che è molto più grande della sola polis, e che è lo «spazio europeo e globale», deve dedicare tempo per l’ascolto delle diverse opinioni, deve essere agita da soggetti collettivi che incanalano le adesioni intorno a obiettivi e fini unificanti (la politica, a tale proposito, deve ripensare se stessa sia rispetto all’azione organizzata sia rispetto ai traguardi che devono nascere da un confronto e non possono e non devono essere dati dall’alto), deve confrontarsi con la questione della parola, ossia del dialogo e della ridefinizione di un linguaggio comune.

La forte attualità del libro è data quindi da molteplici analogie tra quanto è accaduto nel passato e ciò che sta accadendo oggi nella politica e nelle istituzioni. Ne è un esempio il riferimento all’esperienza di militanza politica dell’autore che lo ha visto impegnato nella prima giunta di sinistra a Milano, nella seconda metà degli anni settanta; tale giunta, considerata dal PCI troppo rischiosa perché tra i vari aspetti non aperta alla Dc, rappresenta quindi l’espressione, già nel passato, di un’esigenza di maggiore democratizzazione della vita interna del partito, a suo tempo, comunista. Esigenza cui si è affiancato, a seguire, un meccanismo di chiusura e quindi di autoconservazione burocratica, senza prendere nella giusta considerazione – ed ecco uno dei grandi problemi ancora attuali per la sinistra – le grandi trasformazioni storiche e della società come quelle che si sono avute, ad esempio, negli anni ottanta e novanta; il partito della sinistra, secondo Terzi, di fronte a tale eventi si è indebolito senza mettere in campo una proposta politica progettuale chiara e forte, e ciò sembra essere davvero questione ancora dell’oggi.

Nel testo Terzi prende in esame, quindi, la sinistra e il suo modo di confrontarsi con lo scorrere degli eventi. Secondo l’autore il partito della sinistra deve fare i conti con i molteplici cambiamenti che sono avvenuti nella storia senza attuare un meccanismo di rimozione (come accaduto al momento della «svolta»), deve fare i conti con la propria storia per capire cosa è ancora attuale e cosa è superato, perché «il futuro non è nelle mani di chi è senza storia, ma di chi riesce a dare un senso alla sua storia», individuando anche gli errori commessi per poi fare scelte e definire progetti.

Già nel 1987, in un articolo pubblicato su Micromega, facendo una riflessione sull’eredità politica di Berlinguer, l’autore sottolineava, in modo sorprendentemente pertinente se pensiamo ai nostri giorni, come fosse indispensabile rafforzare una rappresentazione di partito che deve diventare uno «strumento attraverso il quale prende corpo un processo di partecipazione di massa alla vita e alle scelte politiche, senza vincoli di dottrina […]. Questo passaggio è fondamentale e preliminare innovazione da realizzare. Ed è questione non di statuto, ma di cultura politica».

Ancor più singolare, se pensiamo all’attualità, il fatto che Terzi riteneva utile per il partito, già alla fine degli anni ottanta, confrontarsi con i movimenti della società, ad esempio il movimento antinucleare, al contrario di chi riteneva ciò non appropriato. Secondo l’autore, un partito che non sceglie, che non capisce che «quelli che nel passato sono stati elementi di forza del partito di massa (la sua macchina organizzativa compatta e disciplinata, la sua coesione ideologica, il suo riferimento sociale privilegiato alla figura dell’operaio di fabbrica […]) divengono oggi elementi di debolezza, in quanto determinano uno stato di separazione, di distacco, nei confronti della realtà sociale in movimento», è un partito solo di sovrastruttura. Per questo un possibile percorso, suggerito da Terzi nel 1988, ma che potremmo recuperare oggi, è dato dalla scelta, che la sinistra potrebbe fare, di un «diverso modello sociale in cui hanno un posto centrale i temi del controllo democratico, dell’ambiente, della qualità del lavoro, dei diritti collettivi di cittadinanza» e di un nuovo modo di rapportarsi con la variegata rete dell’associazionismo democratico.

Leggendo gli scritti raccolti nel testo ci troviamo in un passato/presente caratterizzato da un sommovimento che riguarda lo stile di vita, la società, il lavoro, le identità individuali e collettive. Ora tutto è incerto e complicato, per tale motivo è necessaria una “politica inedita”, che si apra a nuove soluzioni e nuovi progetti, perché il rischio è quello dell’affermazione del partito del leader (come ci è ben chiaro) nel quale si mescolano potere autoritario e dipendenza dal mercato: «la domanda non è più che cosa fare, quali progetti realizzare, quale è il modello sociale cui tendere, ma solo a chi consegnare il potere di decidere». È proprio in questo contesto che correttamente Terzi fa notare come si faccia spazio, con troppa superficialità, all’idea della definitiva «fine delle ideologie», tutto ciò lasciando campo a un’ideologia dominante. È opportuno rimettere invece insieme pensiero e azione. Non può esserci politica senza pensiero, come è accaduto negli ultimi anni: «il primo passo da fare è quello di restituire alla politica la sua dimensione ideale e culturale, in un rapporto con il vissuto concreto delle persone e con le loro domande di senso e di identità».

Anche Zagrebelsky (La democrazia senza i partiti, in La Repubblica, 12 dicembre 2011), soffermandosi sulla questione del governo tecnico di Mario Monti e la relativa legalità costituzionale, sottolinea che «il presidente della Repubblica ha fatto un uso delle sue prerogative che è valso a colmare il deficit d’iniziativa e di responsabilità di forze politiche palesemente paralizzate dalle loro contraddizioni […]. In qualunque democrazia i partiti hanno il compito di raccogliere le istanze sociali e trasformarle in proposte politiche, per “concorrere con metodo democratico alla politica nazionale”, come dice l’articolo 49 della Costituzione: sono dunque dei trasformatori di bisogni in politiche. Una volta svolto questo compito di unificazione secondo disegni generali, ne hanno un secondo, altrettanto importante: di tenere insieme la società, per la parte che ciascuno rappresenta, nel sostegno alla realizzazione dell’indirizzo politico, se fanno parte della maggioranza, e nell’ opporsi, se non ne fanno parte. Un duplice compito di strutturazione democratica, in assenza del quale si genera un vuoto, una pericolosa situazione di anomia, cioè di disordine politico, nel quale il governo si trova a dover fare i conti direttamente col disfacimento particolaristico, corporativo ed egoistico dei gruppi sociali, inevitabilmente privilegiando i più forti a danno dei più deboli. La dialettica tra governo e società non trova oggi in Italia la necessaria mediazione dei partiti. Di questa, invece, la democrazia, in qualsiasi sua forma, ha necessità vitale».

In modo calzante Terzi sottolinea come tutto ciò pone l’obbligo di riflettere anche sul processo di rappresentanza, che «restituisce senso ed efficacia alla vita democratica», e che, in questo periodo, è reso difficile dalla forte affermazione dell’individualismo. Anche rispetto a questa delicata questione l’autore, con lucidità, afferma che non è ammissibile accettare l’idea, espressa anche da Alain Touraine, della «fine del sociale». Siamo in presenza di un sociale frammentato, fluido, siamo in presenza di identità plurime; ciascuno di noi partecipa a più identità (territoriale, politica, sociale), quindi la politica può riacquisire una propria dignità se cerca di capire i processi di individualizzazione, ridando una forma alla società non più strutturata in blocchi sociali compatti, indebolendo così la forma molecolare, individuale. Bisogna ritrovare un giusto equilibrio tra rappresentanza e potere, aspetti entrambi importanti per il buon funzionamento del sistema politico, perché un elemento ha bisogno dell’altro: nel caso del prevalere di uno sull’altro, infatti, si verifica una sconfitta del sistema stesso. Terzi ci ricorda che nell’ esercizio del potere c’è l’esercizio della responsabilità, cioè andare oltre i vantaggi immediati e rapportarsi con traguardi di carattere generale. Anche in questo caso l’autore pone sul tavolo un altro elemento di estrema attualità come quello della «concertazione» (aspetto preso in esame in uno scritto del 1997), che «si basa sul principio che la rappresentanza politica e la rappresentanza sociale debbano trovare la via di un dialogo, di un confronto, di un’intesa. […] Politica dei redditi, modello contrattuale, politiche del lavoro, Stato sociale: ciascuno di questi capitoli implica il rapporto con la politica e quindi necessariamente modalità di coinvolgimento del sindacato nel processo decisionale». E di questo proprio in questi giorni si sta parlando.

Se volessimo scorgere un filo di continuità che raccorda tutti i vari documenti proposti da Terzi, questo è nel ruolo e nell’importanza del sociale e della sua autonomia. Oggi si pone l’esigenza di rinvenire uno schema alternativo a quello del movimento di classe, quindi partire dalla persona, dai diritti di cittadinanza, trovando di nuovo un principio unitario che tenga insieme la molteplicità di movimenti e di esperienze di lotta. Terzi mette in luce come la CGIL stia operando, seppur con debole consapevolezza teorica, in tal senso, ma anche come sia necessario che lo stesso sindacato agisca in modo più deciso relativamente al progetto incompiuto dell’autonomia, ossia saper organizzare le «ragioni costitutive della propria regolazione. […] all’autonomia serve una forza interna di autorganizzazione».

Con la seconda repubblica sappiamo bene che gli spazi di autonomia si sono ridotti, ma deve essere chiaro che tra lo Stato e il mercato c’è la società, che deve trovare il modo per organizzarsi nel rispetto della propria autonomia. È proprio qui che può e deve agire il sindacato; se questo spazio viene limitato, vengono limitate anche le azioni del sindacato e per questo la qualità del sistema democratico, come ricorda Terzi, ha una significativa ricaduta su tutto ciò. A questo si aggiunge la continua verifica del rapporto fiduciario tra sindacato e lavoratori, proprio ora che il lavoro è oggetto di profonde trasformazioni perché «non cambia solo la condizione materiale del lavoro, ma la soggettività del lavoratore».

Rispetto alla questione ancora aperta dell’autonomia del sindacato, Terzi nel 2003 segnalava come fosse messa in pericolo dalla destra e come il rischio fosse quello di un adattamento del sindacato a una posizione subalterna e corporativa, o del divenire esso stesso il braccio operativo della sinistra; oggi l’autore rileva che il progetto dell’autonomia non si è appunto pienamente definito, mentre il pericolo è quello di una soluzione bipolare tra sindacato di governo o sindacato di opposizione, con un evidente sbilanciamento nella politica. L’autonomia può essere invece raggiunta con un impegno continuo rispetto al confrontarsi con la realtà sociale e i suoi vari cambiamenti.

Terzi ci insegna quindi a essere saggi, anche se il riferimento è fugace ma incisivo, quindi a praticare una certa flessibilità del pensiero, a non focalizzare verità limitate, a essere aperti all’intero spettro delle verità possibili per cogliere la complessità del reale. Per questo l’autore, in modo molto chiaro, critica il bipolarismo che riduce la complessità a due posizioni, al fenomeno dello scontro e al rischio della «bipolarizzazione dei cervelli».

L’autore, con estrema onestà intellettuale, non vuole offrire una soluzione o una proposta conclusiva, ma suggerisce di agire e di porsi in una prospettiva di mutamento. Terzi preferisce parlare di mutazione piuttosto che di transizione, come ricorda anche Mario Tronti nella prefazione del testo, che significa passare da un punto di partenza a un punto di arrivo. In molti hanno parlato di transizione dalla prima alla seconda repubblica; l’autore rispetto a ciò mostra qualche riserva, perché non si è avuta alcuna modifica dei valori: pensiamo a ciò che è accaduto, ad esempio, nel 1992 con tangentopoli e a quello che accade oggi con la presenza della casta e il fenomeno dei voti «ambigui» nel Parlamento italiano. Con questo libro Terzi ci suggerisce che è fondamentale leggere la storia con attenzione e onestà intellettuale, rilevando eventuali contraddizioni e rispettando il diritto di critica.

Il volume, pur proponendo alcuni scritti di qualche decennio fa, pensa all’oggi. Il fuoco della riflessione non è di carattere storico, ma è sulla crisi attuale della politica e della democrazia. Quando Terzi scrive nel 1992 che siamo di fronte a un collasso dei partiti di massa (che hanno avuto una trasformazione complessa e largamente irrisolta), a una politica che risponde a logiche di mercato, che vive di scambio di favori, dove «non c’è più spazio per l’etica ma solo per l’interesse», che è necessario «un nuovo percorso di designazione degli incarichi di direzione degli enti pubblici, individuando uno specifico curriculum professionale specializzato e spezzando così il metodo delle designazioni di partito», ci pone in modo lucido di fronte a questioni troppo «vecchie», che avrebbero meritato la giusta attenzione per evitare di incappare nella crisi che invece ci troviamo ad affrontare. Anche rispetto a questo Terzi non offre una soluzione, ma un suggerimento: la crisi non deve essere vissuta come un disfacimento, ma come un punto di cambiamento di direzione, per questo è necessario esaminare, capire e regolare i processi in atto per avviare una nuova fase di sviluppo.

È quindi estremamente azzeccato e pertinente il titolo: in questo periodo storico si tratta di ricomporre un’identità, una capacità di fare rappresentanza, senza avere una meta prefissata. Bisogna procedere per tentativi, senza poter seguire una linea retta, agendo sui conflitti di un mondo globalizzato. È infatti caduta l’idea della storia ascendente con un determinato esito e quindi, per procedere verso una meta incerta, è necessario avere due importanti virtù: la pazienza e l’ironia.


Numero progressivo: L5
Busta: 9
Estremi cronologici: 2012, gennaio
Autore: Paola Chiorrini
Descrizione fisica: Fotocopia pagine rivista
Tipo: Recensioni
Serie: Cultura -
Pubblicazione: “Quaderni di Rassegna sindacale”, n. 1, gennaio 2012, pp.197-203