DALL’IMPRESA ALLO STATO. LAVORO, INNOVAZIONE, SINDACATO E POLITICA

Una discussione con Pietro Ingrao a Bologna

Articolo di Carla Casalini in cui si riferisce di un incontro con Pietro Ingrao, Riccardo Terzi e Claudio Sabattini a Bologna su sindacato e politica

Il tentativo di un discorso un po’ più approfondito, meno affannoso e superficiale di quello che viene spesso filtrato e sintetizzato dalla stampa sullo scontro che attraversa oggi la CGIL. Discussione dunque sulla crisi del sindacato, tutto, e su quella nella sinistra come appare analizzata già nei documenti preparatori del congresso del partito comunista. Questo è ciò che è stato rappresentato a Bologna la scorsa settimana in un confronto tra Pietro Ingrao e i segretari della CGIL Claudio Sabattini (dipartimento internazionale) e Riccardo Terzi (segretario aggiunto di Lombardia), riuniti a discutere sul libro del segretario della FIOM emiliana Francesco Garibaldo Lavoro, innovazione, sindacato (edito da Costa & Nolan).

L’unica incongruenza, la mancata rappresentazione della presa di parola del pubblico. C’erano sei settecento persone nella sala ex macello comunale, che hanno seguito in un silenzio concentratissimo il primo giro di discussione: e se è vero che erano venuti per sentire, per capire di persona, poteva sembrare naturale rischiare di finire alle due di notte e anche ascoltarli. Diverso il discorso per i giornalisti dei quotidiani nazionali e delle agenzie stampa, in folta delegazione, che si attendevano qualche spunto in più sullo scontro nella CGIL, e che sono stati delusi sul piano dello scoop, anche se il dibattito non è certo andato fuori tema.

In più, da questo punto di vista si può solo notare la presenza nuova di Riccardo Terzi nella discussione che da circa un anno in varie occasioni trova insieme Pietro Ingrao e il sindacato emiliano sui temi della alienazione. La sottolineatura di un asse CGIL che si assume la ricerca di un nuovo ruolo antagonistico per sfuggire al rischio della “omologazione”, che si pone il problema del “come e cosa produrre” di tradizione trentiniana, e che, sulla scorta del libro di Garibaldo propone per l’oggi una strategia di “codeterminazione” come ha sancito la FIOM nel suo congresso, in luogo della passata strategia rivendicativa. Ma su questo Pietro Ingrao ha interloquito con alcune domande precise.

Riccardo Terzi, che ha aperto il confronto, ha nominato il rischio di omologazione per il sindacato, in un momento delicato non certo solo per la CGIL nel cuore di una generale aspra campagna politica. La raffigurazione di una CGIL attardata da zavorre di vecchi ideologismi, mentre altri starebbero galoppando verso la “modernità”, è solo uno dei tentativi per far abbandonare qualunque analisi critica della realtà del sindacato. Il quale è in crisi, tutto – e mentre la CGIL accetta di discutere, non gioverà alle altre organizzazioni far finta di nulla perché i problemi gli esploderanno presto in casa.

I “problemi” constano di non poco: una riorganizzazione del potere capitalistico, e la concentrazione del potere decisionale in sedi sempre più ristrette e sottratte al controllo sociale e politico, e un contestuale svuotamento democratico. In questo processo oligarchico che genera poteri separati dalla cultura alla politica, fino alle organizzazioni criminose, il sindacato si è trovato indebolito nel suo potere contrattuale nei luoghi di lavoro, dalla centralizzazione delle relazioni industriali, e insieme si è visto sottrarre dalla contrattazione, via via svuotata, qualunque scelta strategica.

Il richiamo è alle grandi imprese e Terzi denuncia il rischio di un ruolo subalterno e corporativo per il sindacato. Ma in questione ci sono anche altri – è l’orizzonte politico teorico della sinistra – e siamo alla crisi del PCI: le cui sconfitte elettorali di questi anni non sono semplice congiuntura.

Non ci sono rattoppi possibili, ma la discussione sembra iniziata nella sinistra – lo dimostrano i documenti congressuali del PCI – alla ricerca di una concezione democratica che tenti di sfondare gli aspetti formali per vedere la costituzione materiale del potere attuale.

In questo necessario processo di democratizzazione il sindacato trova la sua ragion d’essere con un ruolo specifico autonomo dalle forze politiche. È il terna della democrazia economica per il quale non basta una via soggettiva – la “linea”, lo scontro politico – senza un progetto che parta dai processi materiali che hanno messo in crisi il sindacato. Riconosciuto questo deficit di progettualità, per dare risposte ai processi sociali l’unità sindacale come pura enunciazione di valore non basta più, si trasforma in puro vincolo: occorre la costruzione di un nuovo processo unitario.

La centralità del lavoro, riaffermata nella discussione di Bologna, viene tematizzata da Riccardo Terzi come l’unica possibilità per capire anche la propria crisi da parte del sindacato: perché essa parte dalla perdita di centralità del lavoro. Riconquistato quel punto di vista e di osservazione, allora il sindacato potrà confrontarsi con le contraddizioni di oggi, che non sono più solo tra capitale e lavoro, ma sono ad esempio, prima di tutto l’ambiente.

E nel luogo del lavoro, anche le imprese vivono contraddizioni, tra l’esigenza di controllo gerarchico sul lavoro, e un consenso sempre più necessario per l’organizzazione dell’impresa nelle nuove condizioni di flessibilità. Qui si apre un luogo immenso di iniziativa per il sindacato che in rapporto diretto con i problemi reali dei lavoratori può passare dalla precedente strategia rivendicativa a un progetto autonomo che sposti il baricentro sul livello dell’impresa, e tenti di allargare la propria sfera di intervento: e qui la citazione esplicita è al documento elaborato dalla FIOM su una bozza di nuove relazioni industriali, regole da far rispettare alle controparti padronali.

Della FIOM compare qui la scelta della “codeterminazione” come strategia scelta al congresso, e l’impianto e le nuove centralità sono sviluppati nel libro di Garibaldo. Il quale sostiene, contro le tesi “postindustriali” una opposta panindustrialista non a scopo polemico ma radicandola in una analisi: se è vero che viviamo in società in cui aumentano attività che nulla hanno a che fare con la manifattura, non è nel contenuto immateriale e nel mutamenti di realtà, che pure produce, che gira la chiave di lettura, ma nei criteri organizzativi, di calcolo, di verifica della produttività: tipici fino a ieri del lavoro industriale, si stanno estendendo alle altre attività.

Pietro Ingrao interviene esplicitamente sul libro e lo sottolinea al pubblico attento. E dalla centralità del lavoro industriale come paradigmatico del nostro tempo. Ingrao ripercorre l’analisi di Garibaldo e sottolinea il suo rifiuto di una visione sia economicistica che di determinismo tecnologico. Di qui possono emergere, analizzati, i comportamenti soprattutto della grande impresa la quale sa bene come deve intrecciare sempre dominio e consenso, ossia controllo culturale, fin emotivo dei lavoratori.

Ingrao richiama come di qui scaturisce l’analisi sul concetto di estraneazione oggi e qui, punto focale di tutto ciò che è avvenuto: e cita questo tema critico condiviso da Marx ma anche da utopisti o da pensatori cristiani come Simon Weil. Sono frottole?

Ingrao, polemico, denuncia l’apologia dell’esistente presente in troppe piattaforme sindacali e anche dentro la sinistra, dentro il PCI. Si vuol forse chiudere il sindacato in una pura redistribuzione del reddito, o nelle certo importantissime politiche del welfare, dei diritti universali, senza che esso si misuri anche col rapporto tra essere umano e il lavoro di noi moderni?

Concorda, con i suoi interlocutori – e Claudio Sabattini, l’ultimo a intervenire in un lungo discorso polemico su questo punto traccia brevemente la vicenda dal grande movimento degli anni ‘70 a oggi, della condizione dei lavoratori in un lavoro divenuto puro costo di produzione per una controffensiva capitalistica davanti alla quale il sindacato è stato inesistente, come molti intellettuali, o compagni comunisti.

Ma poi è avvenuto ancora di più, il lavoratore è divenuto puro elemento aggiuntivo: lo si vede nella vicenda Fiat, uno dei tanti fattori produttivi pagati se il mercato tira. È scomparsa anche la prestazione lavorativa, l’operaio è uguale al bullone.

Ma Ingrao ha fatto invece una osservazione, una domanda sulla strategia, avendo condiviso l’analisi dei suoi interlocutori: da tutto questo davvero potrà il sindacato misurarsi con l’impresa sulla pianificazione aziendale, senza poter determinare i suoi fini strategici? Non rischieranno di trovarsi di fronte solo due linee manageriali a misurarsi tra loro? E le condizioni dei lavoratori? Come si colma la distanza tra istanza progettuale e condizione materiale? Qui Ingrao ha fatto anche un altro ammonimento, sulla politica, di cui tanto aveva già discusso: resterà sempre, comunque, in ciascuna donna e uomo, nella condizione della soggettività moderna, fuori qualcosa da qualunque politica: ed è importante, è ciò che feconda l’avvenire.



Numero progressivo: B40
Busta: 2
Estremi cronologici: 1988, 16 novembre
Autore: Carla Casalini
Descrizione fisica: Pagina quotidiano
Tipo: Relativi a Terzi
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: “Il manifesto”, 16 novembre 1988