[CRISI MONETARIA – CRISI ECONOMICA – STRATEGIA PER LO SVILUPPO E IL LAVORO]

Tempo d’Europa - Convegno CNEL 19 gennaio 1996

Relazione Riccardo Terzi – Responsabile Rapporti Istituzionali CGIL-CNEL

Io vorrei, innanzitutto, fare un’osservazione politica. Mi sembra che il tema dell’Europa sia praticamente assente nel dibattito politico, anche nel dibattito politico di questi giorni. Si è parlato del semestre italiano solo per un fatto: come mettere in rapporto il semestre con la data delle elezioni. Questa è la preoccupazione principale, se fare la crisi di Governo, se non farla. Sui temi politici, sugli obiettivi che l’Italia si deve proporre in questa fase, la discussione è molto carente. Io trovo questo un po’ singolare.

Anche quando ragioniamo sui problemi della fase costituente o della riforma delle istituzioni, la vediamo in un’ottica molto provinciale. Non parliamo mai delle istituzioni politiche europee, che è la vera grande frontiera strategica del futuro. In altri paesi mi pare che le cose siano un po’ diverse. In altri paesi abbiamo anche delle resistenze accanite ed esplicite, delle posizioni contrarie all’integrazione europea, ma quanto meno c’è un dibattito pubblico, c’è uno scontro politico vero, così è in Francia, così è stato in alcuni paesi che sono arrivati all’adesione all’Unione Europea dopo un dibattito travagliato.

Da noi sono tutti europeisti, non c’è un anti europeista esplicito, però poi nessuno se ne occupa, se non i parlamentari europei. Spesso nel disinteresse totale. Questo mi pare un limite grave nella nostra situazione, ed allora forse possiamo tentare, questa è un’iniziativa meritoria anche da questo punto di vista, di usare bene questo periodo di Presidenza italiana, non solo per svolgere, come Governo, il ruolo del governo stesso, ma anche per aprire un dibattito politico nel paese, per tentare di spostare il tiro della discussione politica dai temi che oggi sono dominanti a questi temi che hanno un rilievo grande per il nostro futuro. Vengo ora alle questioni che mi poneva Fiorella.

Il sindacato, a livello europeo, ha fatto una scelta abbastanza netta, una scelta europeista. La Confederazione Europea dei Sindacati ha una posizione molto coerente. La scelta europeista è una condizione di accesso alla Confederazione Europea dei Sindacati. C’è stato un dialogo costruttivo, positivo con la Commissione, con la Presidenza Delors. Questo dialogo si è sviluppato in varie occasioni.

Il Sindacato si è collocato in una posizione interna, non solo come controparte, ma come un soggetto interessato ad accelerare il processo di integrazione. Questa è stata, con qualche differenza, a seconda delle diversi situazioni nazionali, la posizione sindacale a livello europeo. Il problema che il sindacato ha è che anche noi veniamo da una storia di identità nazionali molto separate, molto diverse, diversi sono i modelli di organizzazione sindacali, i modelli contrattuali.

Lo sforzo di costruzione di un soggetto sindacale europeo è dunque ancora molto incompiuto, non c’è dubbio. La Confederazione Europea dei Sindacati è ancora troppo una sommatoria di singole organizzazioni. Lo sforzo è quello di dare vita ad una vera e propria rete di contrattazione su scala europea. Qui troviamo resistenze molto forti anche nelle controparti imprenditoriali. Il sistema delle relazioni resta ancora troppo un sistema che funziona su base nazionale. Non siamo riusciti a fare il salto, a passare ad una vera contrattazione su alcuni aspetti, su alcuni temi decisivi, nell’ambito europeo.

Io condivido molte delle cose dette. Anch’io penso che sarebbe sbagliata una posizione volta a rimettere sostanzialmente in discussione gli accordi di Maastricht. Il limite è che mentre sta andando avanti, seppure faticosamente, un processo di unificazione monetaria non va avanti il resto, e non va avanti la costruzione politica dell’Europa, la costruzione sociale dell’Europa.

Gli accordi di Maastricht avranno sicuramente bisogno di un momento di verifica, ma gli obiettivi di fondo sono obiettivi condivisibili. Alcune posizioni che ci sono state in alcuni paesi di contrasto forte nei confronti degli accordi di Maastricht ci porterebbero verso una posizioni di chiusura nazionalistica, ci porterebbero a rallentare gravemente il processo dell’unità europea.

Penso che anche se guardiamo alla realtà del nostro paese, per fortuna c’è stato Maastricht, perché senza i vincoli di un accordo internazionale l’Italia non avrebbe affrontato i suoi problemi interni, avremmo continuato con il galleggiamento andreottiano, i Governi che vivono giorno per giorno e non si decidono ad affrontare i grandi nodi strutturali. Naturalmente questo apre dei problemi. È chiaro che le difficoltà sono molto serie, ma noi abbiamo dimostrato, su alcuni passaggi difficili, come quello della riforma previdenziale, di trovare dei punti possibili di accordo.

Il Sindacato non si è sottratto, ha contribuito a trovare delle soluzioni. Con questo metodo, e con un atteggiamento che ricerca il consenso e l’equilibrio sociale, si possono affrontare i problemi per mettere in grado l’Italia di entrare a pieno titolo nell’Unione Monetaria.

Mi pare importante avere chiaro che non ci possiamo sottrarre alla sostanza di questo obiettivo. Soprattutto è essenziale che la prospettiva dell’Europa si presenti davanti al lavoratore non solo come prospettiva di rigore finanziario, ma come una prospettiva di sviluppo, altrimenti sarà difficile avere un consenso sociale forte, un europeismo convinto.

Centrale è il tema della ripresa dello sviluppo ed una politica per il lavoro, per l’occupazione. Si deve fare veramente uno sforzo ulteriore di approfondimento, partendo dalle cose già dette, dal documento Delors.

Io condivido molte delle cose che si sono dette, non credo che ci sia una ricetta, un’unica leva, un unico strumento. La scelta di fondo è che l’Europa può avere uno sviluppo se punta ad obiettivi di grande qualità ed eccellenza. Se non fa questo finisce per entrare in collisione con altre economie molto dinamiche in altre parti del mondo. Noi dobbiamo puntare a portare ad un livello più alto la qualità complessiva della struttura economica e produttiva, quindi innovazioni, tecnologia, ricerca, valorizzazione del capitale umano, formazione, le grandi reti. Questa è la prima condizione per non regredire, per non avere un aggravamento della situazione, ma poi occorrono degli interventi più specifici.

Tra l’altro l’Europa è fatta di tante cose diverse. Una cosa è la politica per l’occupazione a Milano, in Lombardia, una cosa è il problema del Mezzogiorno, che richiede degli strumenti specifici, mirati, per avere quella coesione sociale di cui si parlava.

Poi c’è tutto il tema del terzo settore, sviluppo dell’attività nei servizi, impresa sociale, cui accennava anche Bassetti. Ci sono i problemi di flessibilità del mercato del lavoro, che dobbiamo affrontare. In Italia li abbiamo affrontati, nonostante quello che spesso ci viene rimproverato. Rispetto alla rigidità della Germania non c’è confronto, qui c’è una grande flessibilità del mercato del lavoro. Va assunta la sfida della flessibilità a condizione che questo non significhi una precarizzazione ed un arretramento sul piano dei diritti fondamentali.


Numero progressivo: C5
Busta: 3
Estremi cronologici: 1996, 19 gennaio
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - CNEL -