CONSIGLIO GENERALE DELLA LOMBARDIA APRILE 1991

Relazione di Riccardo Terzi – Segretario generale CGIL Lombardia

Il Consiglio Generale della CGIL ha deciso la data del congresso nazionale per la metà di ottobre, il regolamento congressuale, e ha varato i documenti che saranno oggetto del dibattito: il programma, le tesi, con il documento alternativo, e la proposta di riscrittura dello statuto. Questo Consiglio Generale della Lombardia deve di conseguenza assumere alcune decisioni: la data del congresso regionale, che proponiamo si tenga dal 25 al 27 di settembre, la composizione della commissione di garanzia, e sulla base del regolamento nazionale dobbiamo assumere alcuni criteri orientativi per lo svolgimento del congresso.

Su questi aspetti riferirà successivamente la relazione del compagno Fanzaga.

Con questa relazione io intendo affrontare tre punti: il carattere del congresso, con la novità rappresentata dall’esistenza di una mozione alternativa, e le conseguenze che ne derivano per quanto riguarda la vita interna della CGIL; le questioni chiave del dibattito e anche dello scontro politico tra posizioni che sono tra loro alternative; le iniziative che intendiamo assumere in vista del congresso regionale.

Circa i caratteri del congresso, vi è stata nel Consiglio Generale una discussione complessa, anche con alcuni momenti di tensione. Naturalmente valgono per tutti, al di là delle diverse opinioni di partenza, le decisioni che si sono assunte e che sono sancite nel regolamento nazionale. Con il regolamento si definisce un percorso duplice, lungo due diverse e distinte direttrici.

In primo luogo, con il voto sui documenti nazionali, che vengono sottoposti nella loro integrità a tutti i diversi livelli, si determina un pronunciamento chiaro intorno alle fondamentali opzioni strategiche, e sì ha così la possibilità di misurare gli equilibri politici dentro l’organizzazione. In secondo luogo, vi è la possibilità di emendare documenti da parte di tutti i delegati; gli emendamenti approvati, e anche quelli che hanno raggiunto un determinato quorum, vengono trasmessi al congresso di livello superiore, fino al congresso nazionale che deciderà in via definiva il contenuto dei documenti approvati dalla CGIL come base della propria iniziativa politica.

Con questa procedura viene garantita la sovranità di ogni livello congressuale, che non è quindi chiamato solo a un pronunciamento referendario ma può lavorare sui testi, produrre nuove proposte, operare modifiche anche sostanziali, senza limiti di sorta.

Il congresso è quindi un processo aperto, che è iniziato ad Ariccia con il voto del Consiglio Generale, ma che consente ad ogni iscritto di essere un protagonista attivo. Di questo mi pare si tratti quando si parla di “congresso dialogante”: non la ricerca di mediazioni unitarie ad ogni costo o di elementi di confusione rispetto alla limpidezza del confronto politico, ma l’impegno ad un confronto sui contenuti, e quindi un lavoro congressuale, di approfondimento e di elaborazione, che impegna tutta l’organizzazione.

D’altra parte, mi pare evidente che esistono nel nostro dibattito diversi piani: ci sono alcune opzioni strategiche generali che per loro natura richiedono il massimo di chiarezza e quindi non sono mediabili; esiste poi un corpo ampio di singole questioni concrete, di scelte contrattuali, rivendicative e organizzative, che sarebbe assurdo ricondurre a rigide alternative contrapposte.

C’è naturalmente la novità, politicamente rilevante, dell’esistenza di un documento alternativo. Questa novità non è di per sé un fatto negativo ma, anzi, può essere l’occasione per un confronto più limpido, e in ogni caso è un fatto da cui non possiamo prescindere. Ma dobbiamo tutti valutare con estrema attenzione le conseguenze che ne possono discendere e quindi misurare con responsabilità i nostri comportamenti in questa fase. Un esito possibile – non inevitabile ma possibile – e a mio giudizio pernicioso, è la definitiva spaccatura della CGIL in una maggioranza e in una minoranza incapaci di comunicare, la riproposizione a tutti i livelli di una logica correntizia rigida, e quindi l’instaurazione di un clima permanente di conflitto, di contrapposizioni personalistiche, di ricerca artificiosa delle differenze.

Credo che sia interesse di tutti, al di là della collocazione che ciascuno assume in questo congresso, evitare questo tipo di esito. È ora di moda la polemica contro il consociativismo, ed essa comincia ad entrare anche nel dibattito sindacale la polemica è pertinente se si vuole iniziare una pratica di unanimismo fittizio e di permanente ambiguità.

Io credo però che non può funzionare nella vita della CGIL un modello di tipo parlamentare: la maggioranza che governa e la minoranza che ha solo, unico compito, quello di candidarsi a diventare maggioranza in un prossimo futuro. Resta valida l’esistenza di una dialettica unitaria, che non annulla le differenze ma le immette dentro il circuito di un lavoro comune.

Questo è essenziale per l’efficacia dell’azione del sindacato e anche per la sua autonomia dalle pressioni esterne. Io non penso che allo stato attuale delle cose la mozione alternativa nasca essenzialmente da motivi politici esterni, ma sicuramente le cose possono evolversi in questa direzione, è questo un rischio presente se non riusciamo a governare responsabilmente la nostra situazione interna e il nostro confronto.

A me pare inoltre semplicistico ridurre tutto il nostro dibattito all’esistenza di due posizioni tra loro contrapposte. C’è un’articolazione più complessa, c’è in questo congresso un’area grande di quadri, e di iscritti che hanno riserve, hanno dissensi anche radicali, ma ritengono utile stare dentro un percorso unitario, considerando sterile e pericolosa un’opposizione frontale, preconcetta, come se la CGIL fosse irriformabile e restasse solo la possibilità di una spallata, di una delegittimazione del gruppo dirigente. Si tratta, in questo caso, di risorse preziose, che danno un contributo critico e insieme costruttivo e unitario.

Partendo da queste considerazioni, dobbiamo fin d’ora guardare al dopo congresso e valutare quali possono essere le regole della nostra vita interna. Io continuo a considerare positivo il superamento del regime delle componenti di partito, anche se questo processo è complesso e ha creato e crea dei problemi da affrontare. Avremo delle articolazioni diverse da quelle a cui siamo stati abituati nel passato, e queste articolazioni diverse debbono tutte concorrere al governo della CGIL. Per questo, già nella fase congressuale, non ci deve essere automatismo rigido tra mozioni e liste contrapposte ma ci può essere un accordo unitario per liste comuni, che siano naturalmente rispettose degli equilibri, dei dati politici congressuali. E si tratta successivamente di costruire degli esecutivi, degli organi di direzione ai vari livelli non omogenei, che non siano espressione della sola maggioranza.

È però essenziale l’accordo su precise regole di comportamento, impegnative e vincolanti per tutti: non può essere consentito, per chi ha responsabilità di direzione, lavorare contro le decisioni assunte, né utilizzare sistematicamente i mezzi di informazione per un’amplificazione continua del dissenso; perché questo non è garanzia di pluralismo ma confusione permanente e paralisi dell’organizzazione.

Passiamo ora al secondo gruppo di questioni, ovvero ai nodi politici del congresso. Con il congresso si sviluppa il processo di rinnovamento che la CGIL ha avviato a partire già dall’ultimo congresso e poi successivamente, soprattutto con la conferenza programmatica di Chianciano. Al documento del programma in particolare è affidato questo compito di rielaborazione strategica, sviluppando appunto le intuizioni di Chianciano e definendo i caratteri della CGIL come sindacato della solidarietà e dei diritti. Si tratta di un documento unitario, votato quasi all’unanimità dal Consiglio Generale.

C’è dunque una cornice unitaria, e questo è un dato importante di cui tenere conto. Ciò non toglie tuttavia l’esistenza di una divaricazione di linea e di analisi, che investe questioni fondamentali.

Dove sta il cuore del dissenso? il dissenso riguarda in primo luogo l’analisi della fase.

Nel documento alternativo essa è valutata come una fase di sconfitta del sindacato, che ha portato ad un fallimento della stagione contrattuale. Ma soprattutto, il diverso approccio sta nell’individuazione delle ragioni di tale sconfitta, che vengono viste essenzialmente nell’esistenza di una linea politica subalterna e compatibilista da parte del movimento sindacale. Prevale così una lettura tutta soggettivistica del processo: linea subalterna, accettazione delle compatibilità, e di conseguenza fallimento e sconfitta. Da questa lettura soggettivistica ne viene, di conseguenza, una risposta affidata alla volontà, alla lotta politica interna: allo scontro tra due linee. Resta in ombra quello che è essenziale, e cioè l’analisi dei processi reali, oggettivi, dei cambiamenti che nella realtà sono intervenuti: l’internazionalizzazione dell’economia, la nuova dislocazione dei poteri su scala nazionale e mondiale, la crisi delle forme classiche della democrazia rappresentativa, e poi i mutamenti nel mondo del lavoro, i mutamenti tecnologici e organizzativi.

Insomma a me pare che il problema per il sindacato è la capacità di far fronte con nuovi strumenti ad una situazione mutata. La situazione attuale non è di sconfitta, o di cedimento, e comunque non riusciamo a capire la dinamica con queste categorie semplificate.

Siamo dentro una fase di cambiamento, che sollecita il movimento sindacale a ripensare alle proprie politiche e alle proprie forme organizzative.

Questo è lo sforzo contenuto nel documento delle tesi, che si propone di individuare quali sono oggi le linee innovative necessarie per far fronte a una situazione cambiata. Io qui naturalmente procedo per accenni rapidissimi e non intendo fare un’illustrazione neppure vagamente sintetica di documenti che sono molto ampi e complessi.

Nelle tesi si indicano con molta nettezza alcune scelte fondamentali e strategiche: la scelta dell’orizzonte europeo come nuova ed essenziale dimensione dell’iniziativa sindacale, perché, questa è la dimensione dei processi reali che stanno avvenendo nella vita economica e politica; la scelta della democrazia economica come nuova ed essenziale frontiera dell’iniziativa sindacale, e insieme questo la scelta dell’ unità, la riproposizione politica dell’obiettivo dell’unità sindacale, come, condizione necessaria per fare fronte alla nuova situazione per dare forza, e potere più ampio al movimento sindacale. L’unità è indicata come fondamentale proposta politica del congresso, e su questo punto c’è una netta differenza di giudizio tra i due documenti

D’altra parte, partendo da una linea soggettivistica, quale mi sembra essere quella proposta nel documento alternativo, è del tutto coerente il rifiuto delle compatibilità; e il poco di polemica intorno al carattere subalterno dell’azione sindacale. Ma così si perde di vista ogni criterio di valutazione dell’efficacia dell’azione del sindacato, esistono soltanto i bisogni soggettivi dei lavoratori da una lato, e dall’altro lato il sistema, un sistema ostile che deve essere negato nei suoi fondamenti. L’autonomia del sindacato si configura come radicale estraneità, non come azione politica realistica che tiene conto dei dati oggettivi della situazione.

Un altro tema rilevante del confronto congressuale è il tema della democrazia sindacale. Io credo che dovremmo evitare di usare questo tema come un’arma propagandistica nel nostro dibattito interno, perché questo davvero è un problema di tutti e va esplorato seriamente in tutte le sue implicazioni. Non c’è dubbio che la trasparenza dei processi democratici, la trasparenza nei rapporti tra sindacato e lavoratori, è una condizione essenziale. Un primo risultato importante l’abbiamo conseguito con l’accordo sulle rappresentanze sindacali unitarie. Ma questa trasparenza democratica non è di per sé sufficiente a risolvere le questioni di linea e di strategia: c’è un problema di coerenza complessiva dell’azione sindacale, di solidarietà tra i diversi soggetti, e quindi anche di mediazione politica.

Nelle tesi di maggioranza e nel programma c’è, a me pare, uno sforzo più ricco di analisi, di proposta, che evita le semplificazioni e le formule propagandistiche. Naturalmente poi nel merito essendo documenti molto ampi, c’è tutta una discussione da fare sui singoli punti, sulle singole proposte. Ma c’è complessivamente un indirizzo di ricerca che guarda alle trasformazioni, che cerca di dislocare in avanti l’azione del sindacato. Valgono due esempi, che faccio molto rapidamente: l’atteggiamento nuovo di fronte al tema dell’impresa, con il quale, andando oltre le semplificazioni ideologiche, si compie uno sforzo per capire le contraddizioni nuove che nell’impresa si presentano, i nuovi terreni di iniziativa sindacale e per impostare il tema della democrazia industriale come un punto fondamentale del nostro progetto. Il secondo esempio è l’assunzione dell’orizzonte europeo, per riuscire ad attrezzare il sindacato di fronte ai cambiamenti che avvengono nella realtà e che rischiano di spianare il movimento sindacale se esso non riesce a padroneggiare, questi cambiamenti e ad adeguare la propria iniziativa alla nuova situazione.

Infine, l’ultimo punto riguarda la, preparazione del congresso regionale della CGIL Ci sono dei temi sui quali la Lombardia può dare un contributo di merito, in vista del congresso nazionale? lo credo di sì, credo che dobbiamo esercitare pienamente la sovranità del nostro congresso, e non limitarci al pronunciamento sui documenti nazionali. Abbiamo qui in Lombardia un patrimonio comune che può essere fatto pesare, e c’è un’esperienza collettiva importante dei gruppi dirigenti che non intendiamo disperdere, per essere risucchiati in una lotta di fazioni. Possiamo lavorare su alcuni punti, su alcuni temi, partendo dall’esperienza nostra, dall’elaborazione già accumulata da quest’organizzazione nei mesi e negli anni passati. Questo può concretizzarsi in un lavoro per proporre alcuni emendamenti alle tesi, come contributo per il congresso nazionale della CGIL.

Cito soltanto alcuni temi, tutti naturalmente da verificare nel merito. Primo, il regionalismo e la riforma istituzionale. Qui abbiamo alle spalle alcune iniziative, dall’assemblea regionale sul nuovo regionalismo al convegno sui localismi, abbiamo quindi del materiale già abbastanza consolidato, e dobbiamo inoltre tenere conto del fatto che i problemi di riforma istituzionale stanno diventando centrali nel dibattito politico, ed è quindi necessaria una presa, di posizione più limpida da parte della CGIL. Secondo, il modello contrattuale e la struttura del salario, anche in vista della trattativa di giugno. La nostra impostazione è sempre stata tesa a una semplificazione del modello contrattuale, prevedendo due livelli di contrattazione, uno nazionale e uno decentrato, con uno spostamento decisivo del baricentro verso il livello decentrato, il quale può funzionare solo se conquista e si dà sostanza al momento territoriale, perché questo è essenziale soprattutto là dove esiste un tessuto diffuso di piccole, è medie imprese. Terzo, il tema dell’ambiente, come essenziale questione per ridefinire i caratteri dello sviluppo su scala mondiale: lo sviluppo compatibile, il rapporto nord-sud, la, riqualificazione delle forme di vita e di organizzazione, sociale nei paesi più sviluppati. Quarto, la democrazia economica, tema intorno al quale abbiamo tutti più difficoltà e non abbiamo un lavoro alle spalle già sufficientemente consolidato, ma nel quale possiamo comunque tentare un approfondimento.

Infine alcuni aspetti della riforma organizzativa della CGIL, dando, coerenza ad alcune esperienze di lavoro: l’artigianato, i quadri, i lavoratori extracomunitari.

Possiamo inoltre, nel corso dell’attività congressuale programmare iniziative politiche di vario tipo con una capacità di guardare all’esterno, di coinvolgere la cultura scientifica le competenze, le forze politiche.

Un sindacato che mette al centro il tema dei diritti può aprire, ad esempio, tutto un campo di riflessione molto vasto con la cultura giuridica. Così sui temi dell’Europa, sui temi istituzionali, possiamo costruire iniziative specifiche.

Inoltre abbiamo la scadenza di giugno, che richiede un’accelerazione dell’iniziativa sui modelli contrattuali e sulla struttura del salario

Credo che su tutti questi temi dobbiamo tendere a un confronto allargato a CISL e UIL

Un congresso che mette al centro il tema dell’unità deve saper coinvolgere fin da ora nel confronto le altre confederazioni sindacali.

Con CISL e UIL della Lombardia dobbiamo avviare e intensificare il confronto e anche vedere fin da ora quali possono essere i primi passi concreti sulla strada dell’unità, quali possono essere i momenti anche parziali per l’avvio di esperienze comuni in alcuni campi.

C’è un interesse, una disponibilità da parte di CISL e UIL, e noi non dobbiamo stare chiusi in noi stessi da qui a ottobre, ma dobbiamo continuare a lavorare con grande spirito unitario guardando all’insieme dei problemi che abbiamo davanti.


Numero progressivo: A19
Busta: 1
Estremi cronologici: 1991, 15 aprile
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: “Nota settimanale della CGIL Lombardia”, n. 8, 14 aprile 1991, pp. 1-4