CONSIGLIO GENERALE CGIL LOMBARDIA 6 OTTOBRE 1988

Relazione di Riccardo Terzi – Segretario generale aggiunto CGIL Lombardia

Nella riunione del Consiglio generale di giugno, in occasione della discussione sul nuovo assetto di segreteria, si era assunto l’impegno di riconvocare l’organismo dirigente per una discussione sui temi del nostro lavoro sindacale verso le donne.

Con la riunione di oggi teniamo fede a quell’impegno.

In particolare, nella riunione di giugno venivano assunte due decisioni. La prima decisione era quella di procedere alla Conferenza nazionale di organizzazione della CGIL, alla nomina di una compagna nella segreteria regionale, attraverso una procedura di concertazione con il Coordinamento donne.

La seconda decisione, strettamente connessa alla prima, era quella di aprire un dibattito politico nell’intero corpo dell’organizzazione, in quanto le scelte di inquadramento non possono essere isolate, ma hanno senso solo in quanto esprimono l’avanzamento complessivo di una politica.

Per quanto riguarda il primo aspetto, noi oggi confermiamo la scelta, con i tempi e con le modalità già definite, e chiarendo che il criterio fondamentale di selezione è dato dalla capacita di rappresentanza della realtà femminile e dell’esperienza femminile nel sindacato. Ciò non contraddice alla necessita che la compagna da nominare nella Segreteria abbia qualità di dirigente complessivo, ma anzi è la condizione perché questa capacità di direzione sia effettiva, proprio in quanto già sperimentata su un terreno politico così impegnativo e complesso.

Ma questa scelta, se vuole essere significativa e segnare una svolta rispetto alla situazione precedente, ha bisogno di essere qualificata politicamente, ha bisogno cioè dell’apertura di una discussione politica che investa l’insieme dell’organizzazione.

In questo senso noi riteniamo necessario che questa riunione del Consiglio generale sia l’inizio di un lavoro politico, e che ad essa facciano seguito, in tempi stretti, analoghe riunioni degli organismi dirigenti di tutte le nostre strutture, territoriali e le categorie.

Questo è necessario per imprimere una generale accelerazione a tutto il nostro lavoro verso le donne, il quale è tuttora un lavoro discontinuo, parziale, delegato spesso alle sole compagne, considerato cioè come un aspetto secondario, e non come una scelta politica, come un elemento costitutivo della nostra strategia.

La relazione della compagna Paola Brivio, frutto di un lavoro collettivo del coordinamento, e anche di un confronto con la segreteria regionale della CGIL, affronterà più distesamente i problemi relativi alla nostra iniziativa rivendicativa.

Con questa mia introduzione mi propongo soltanto di mettere in chiaro l’orizzonte politico e culturale entro il quale va posto il problema delle dorme nel sindacato.

Il sindacato attraversa, come più volte abbiamo detto, una crisi che è essenzialmente crisi della sua capacità di rappresentanza.

I cambiamenti profondi che sono avvenuti e che sono tuttora in corso nel mondo del lavoro, nella sua composizione oggettiva e nei suoi livelli soggettivi di coscienza, richiedono per il sindacato un riposizionamento strategico, la capacità cioè di dislocare la propria forza e la propria iniziativa nei punti cruciali di questo processo di trasformazione.

In caso contrario, il sindacato sopravvive solo come forma residuale, come prolungamento di una stagione in via di esaurimento, senza riuscire ad entrare in contatto con le forze più vive e dinamiche, senza riuscire ad organizzare il conflitto sociale sui nuovi terreni e sul nuovi bisogni che stanno maturando. I quali sempre più nettamente sono segnati dalla rivoluzione femminile, ovvero dal bisogno di una radicale rottura con i modi di vita e con la divisione dei ruoli sociali su cu si è costruito, negli anni passati, lo sviluppo della nostra società. La rifondazione del sindacato è, in questo senso, un processo politico, e non solo un rinnovamento organizzativo, in quanto si tratta di spostare l’asse strategico dell’azione sindacale. Questo spostamento ha diversi aspetti, i quali tutti si riassumono nell’esigenza fondamentale di riunificare i diversi segmenti del mondo del lavoro, e di costruire un’organizzazione e una presenza sindacale adeguata alla complessità e articolazione dell’attuale struttura sociale.

Diritti del lavoratori nelle piccole imprese, difesa della professionalità di quadri e tecnici, organizzazione delle varie forme di lavoro precario, capacità di esprimere le nuove forme di soggettività dei giovani e delle donne, tutto questo sta dentro un unico processo politico di ricostruzione del sindacato.

La tendenza in atto nell’evoluzione dei rapporti di classe va verso una marginalizzazione del lavoro, non solo per gli effetti sociali dirompenti della disoccupazione, ma in quanto il lavoro viene rinchiuso e compresso entro la rigidità delle compatibilità aziendali e di mercato ed entro i meccanismi di una struttura generalizzata.

A questa tendenza va opposta una nuova centralità del lavoro come bisogno sociale o come momento di auto organizzazione dei lavoratori, come affermazione di autonomia, di creatività, di crescita individuale.

È in questo contesto politico più vasto che si pone la questione femminile come grande nodo politico e strategico, come elemento costitutivo del processo di rifondazione del sindacato, e come suo essenziale metro di misura.

Vi sono grandi potenzialità, come ha dimostrato la manifestazione nazionale del 26 marzo. Si tratta ora di tradurre questo potenziale in concreta azione sindacale, organizzativa e contrattuale. È questo passaggio che ancora non siamo riusciti a compiere, non solo per difficoltà oggettive ma perché ciò implica pregiudizialmente una nuova disposizione culturale, un nuovo approccio che sia basato sul pieno riconoscimento e sulla valorizzazione degli elementi di specificità, di differenza dei valori che sono propri del movimento delle donne.

Occorre dunque andare oltre un’impostazione che sia limitata all’obiettivo della parificazione, dell’uguaglianza astratta, che nella traduzione pratica si risolve in una sanzione delle diseguaglianze di fatto e in una omologazione al modello maschile, considerato come unico e universale punto di riferimento.

Non eguaglianza formale, ma parità sostanziale, che tiene conto delle diverse condizioni materiali che contraddistinguono oggi la condizione delle donne; di ciò si è discusso, con importanti contributi, nel convegno giuridico del 23 settembre, al quale rinviamo assumendone i contenuti e l’impostazione di fondo.

Questa diversità della condizione femminile va riconosciuta nel quadro di un rapporto uomo donna che ha in sé in questa fase, elementi insopprimibili di conflitto, i quali si manifestano in tutto il corpo sociale e anche all’interno delle organizzazioni del movimento operaio.

Per questo non funziona l’idea astratta di eguaglianza perché si tratta di rimuovere ostacoli materiali, di neutralizzare la grande forza di inerzia di istituzioni e di mentalità consolidate che penalizzano la donna nell’insieme delle sue manifestazioni, nel lavoro, nella famiglia, nella vita

Per questo è all’ordine del giorno l’obiettivo complesso di una riorganizzazione dell’intero sistema sociale, degli stili di vita, di una nuova e più avanzata forma di regolazione del ruoli sociali (sistema degli orari, organizzazione del servizi, nuova configurazione della famiglia).

Da queste generali premesse politiche può discendere l’enunciazione di una politica rivendicativa e di un’azione contrattuale conseguenti, che affrontino tutti i diversi aspetti riguardanti il valore sociale della maternità, i processi di formazione, il mercato del lavoro, gli orari ecc.

Affrontare con rigore e con coerenza questi temi, dal punto di vista femminile, significa anche garantire la qualità della contrattazione, e ottenere risultati positivi per tutti i lavoratori.

Anche nella contrattazione, quindi, la tematica femminile va assunta non come corollario marginale, ma come aspetto centrale, e sotto questo profilo le esperienze sono ancora insufficienti e troppo episodiche, e su tutto ciò va fatto un serio lavoro di bilancio e di analisi critica.

Se c’è un elemento di conflitto che tende a riprodursi anche all’interno della nostra organizzazione, diventa decisiva la questione delle regole e delle procedure democratiche, per evitare che un esercizio puramente formale della democrazia abbia l’effetto di sanzionare lo stato di minorità e di subalternità che è di fatto assegnato alle donne nella vita dell’organizzazione. Per questo non bastano criteri formali di democrazia ma occorrono criteri politici. Occorre cioè riconoscere nell’organizzazione la presenza autonoma delle donne e dei loro momenti organizzativi come presenza politica che impone a tutti un confronto impegnativo e uno sforzo di sintesi unitaria.

In questo modo vanno affrontati i problemi aperti, come ad esempio quello relativo alla riforma del sistema pensionistico, che ci sembra richiedere, per evitare il permanere di divisioni, un ulteriore lavoro di approfondimento e di sintesi.

Per quanto riguarda infine il processo di avanzamento della presenza femminile nell’organizzazione e nei suoi gruppi dirigenti, vanno riconosciuti alcuni parziali passi in avanti che si sono compiuti nella recente tornata dei congressi di categoria.

Ma il processo è ancora lento, e sono troppe le zone d’ombra, le situazioni dove permane uno stato di cose inaccettabile, una contraddizione non giustificabile tra il livello, stesso assai alto, di sindacalizzazione delle donne lavoratrici e la loro presenza nei gruppi dirigenti.

Il vincolo del 25% come soglia minima di presenza delle donne negli organismi va ribadito e realizzato.

Non è accettabile l’obiezione secondo cui l’obiettivo politico verrebbe sminuito e immiserito riducendolo a criterio meramente quantitativo. In realtà, proprio perché vi sono contraddizioni e tensioni, perché non vi è un processo spontaneo, sono necessari degli strappi, delle forzature, per spingere in avanti tutto il processo che rischia altrimenti di arenarsi.

Occorre inoltre estendere e potenziare il ruolo dei coordinamenti delle donne, creandoli dove ancora non esistono, e assicurare loro un’autonoma capacita di iniziativa politica e la disponibilità di adeguate risorse finanziarie e dei supporti organizzativi indispensabili.

Il percorso che vogliamo costruire è quello di un inserimento attivo delle donne nella vita dell’organizzazione e di una dialettica politica che consenta, anche attraverso un confronto di posizioni diverse, all’intera CGIL di assumere come propria la tematica femminile. Non ci convince un’ipotesi di organizzazione separata delle donne, che ci sembra essere una dichiarazione di impotenza e la sanzione di un’impermeabilità del sindacato alle esigenze delle donne.

Ma il percorso che noi indichiamo è impegnativo e richiede da parte di tutti un nuovo stile di lavoro, una nuova sensibilità politica e culturale, così da poter esprimere e valorizzare tutte le potenzialità, tutta la carica innovativa di cui è portatore il movimento delle donne.

Questo Consiglio generale ha un senso se e in quanto contribuisce a realizzare questa svolta.



Numero progressivo: A36
Busta: 1
Estremi cronologici: 1988, 6 ottobre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: “Nota settimanale della CGIL Lombardia”, n. 35-36, ottobre 1988, pp. 1-3