CONGRESSO NAZIONALE DELLA CGIL
RICERCA E SPERIMENTAZIONE

di Riccardo Terzi

Il Congresso nazionale della CGIL si è tenuto in una situazione di generale incertezza e problematicità, in presenza di una crisi politica e ideale di cui è assai arduo cogliere le possibili linee di tendenza e i possibili sbocchi.

Se l’incertezza è il tratto del nostro tempo, e se con essa dobbiamo saper convivere criticamente, ciò di cui allora abbiamo bisogno è l’individuazione di una linea di ricerca e di sperimentazione. Con questo metro si può valutare l’esito del nostro Congresso, senza pretendere di cercarvi nuove verità assolute, o svolte di significato storico. Saranno le verifiche pratiche del prossimo futuro a decidere del valore e dell’efficacia delle decisioni politiche che sono state assunte, e per ora io mi asterrei dai proclami troppo solenni, i quali rischiano di avere un effetto consolatorio per una burocrazia sindacale riluttante al cambiamento. Io interpreto il Congresso della CGIL come l’apertura di una linea di ricerca, che guarda in avanti, alle potenzialità e alle contraddizioni nuove che maturano dentro la società moderna.

Il merito di Trentin sta in questo nuovo impulso, nella capacità di sollecitare la nostra intelligenza critica, senza miti, senza illusorie scorciatoie ideologiche.

Per questo temo che la “svolta” della CGIL possa essere travisata, con la ripetizione opaca di qualche formula, che prevalga una lettura ancora una volta ideologica, con l’uso di “parole magiche” (i diritti, la persona), che si sostituiscono all’analisi concreta della realtà.

La rottura storica e culturale che si è consumata in questi anni consiste nella crisi non reversibile di ogni concezione finalistica e salvifica, nella fine dell’utopia.

Per questo ci troviamo ora in una situazione di inquietudine e di ansia, perché non disponiamo di certezze e di miti, ma questa nuova situazione ha anche un effetto liberatorio, in quanto possiamo cercare di capire e di rappresentare la realtà senza veli ideologici.

Non è un crollo, una sconfitta, ma un’occasione per ridare a tutta l’azione della sinistra vitalità, freschezza, capacità di parlare agli individui concreti, alle loro sensibilità, alla loro condizione di oggi, nel lavoro e nella vita sociale.

Da tutto ciò nasce la necessità di un approccio sperimentale, in cui conta l’azione pratica che sappiamo produrre e la continua riflessione critica sui risultati di tale azione.

Se questo metodo sperimentale può essere chiamato riformista, allora diciamo pure che con il Congresso della CGIL si è affermata una nuova maggioranza riformista, a condizione che con questa definizione non si abbiano in mente riferimenti politici e partitici che sono estranei alla ricerca del sindacato. Anche la parola “riformista” va usata con cautela e con pudore, perché anch’essa si è sovraccaricata di significati simbolici.

Mi pare più utile capire, prima di appiccicare qualche etichetta, il senso del processo che si è avviato, il quale consiste nella ricerca di uno spazio di autonomia, e di progettualità per il movimento sindacale, in quanto espressione della società civile, superando ogni residua forma di collateralismo politico. Lo scioglimento delle componenti di partito è la logica conseguenza di questa nuova impostazione. Ne nasce una dialettica interna di tipo nuovo, nella quale si confrontano diverse opzioni di strategia sindacale, dando vita ad un pluralismo di idee e di proposte, e non più ad un pluralismo di appartenenze politiche. E questa la linea di marcia che abbiamo imboccato, e che spero possa essere perseguita con assoluta coerenza, senza arretramenti.

Se queste sono le premesse, il tema dell’unità sindacale si impone del tutto coerentemente come l’orizzonte necessario della nostra iniziativa.

Mi sembra infatti evidente che l’esistenza delle diverse organizzazioni è il frutto di una situazione storica ormai sorpassata, è il retaggio di una divisione ideologica di cui ormai si è perso il significato.

Se si tratta di sperimentare in modo aperto le nuove possibilità dell’azione sindacale, e se in questa ricerca siamo guidati dalla bussola dell’autonomia del sindacato, perché mai dovrebbero sopravvivere queste divisioni e queste separatezze organizzative che si riferiscono ad un passato che è interesse di tutti superare?

La nuova identità della CGIL fa tutt’uno con la ricerca di una nuova unità sindacale. E in questa scelta dell’unità come elemento costitutivo della strategia e della prospettiva della CGIL sta probabilmente la ragione più sostanziale dello scontro interno tra maggioranza e minoranza. La diversità infatti, più che sulle politiche è sull’orizzonte strategico complessivo, sulla direzione del processo.

Nella minoranza prevale una posizione difensiva, una rappresentazione “tragica” del processo della società moderna, per cui si tratta di salvaguardare l’autonomia di una posizione di classe, minacciata da un potere capitalistico sempre più pervasivo, e in questo senso l’unità è vista più come un pericolo di omologazione, di subalternità che come una possibile ragione di forza.

Questa posizione di diffidenza, e questa tendenza a concepire l’autonomia come alterità, finisce per condurre in un vicolo cieco, perché non si colgono tutte le nuove potenzialità, le nuove risorse che possono essere attivate.

Il processo unitario va visto in tutta la sua complessità, valutandone con realismo le possibilità e gli ostacoli.

Non si tratta affatto di un processo spontaneo, o scontato, ma di un’occasione nuova che può essere creata se c’è una forte determinazione politica nei gruppi dirigenti, se c’è un lavoro per rimuovere le difficoltà, la forza d’inerzia degli apparati, le resistenze, le diffidenze che sono il prodotto non solo del settarismo, ma di una storia, di una tradizione, di uno spirito di appartenenza e di organizzazione che ha radici profonde.

 

Non servono dunque forzature o semplificazioni, servono un lavoro e un impegno concreti.

L’aspetto decisivo di questo lavoro è la messa a punto di una strategia comune per affrontare i problemi della società italiana, per qualificare così, nel concreto, il ruolo di un sindacato generale, non corporativo, capace di misurarsi con i grandi nodi, politici, dalla cui soluzione dipendono le prospettive del mondo del lavoro e dell’intera società nazionale.

Alcuni passi importanti si sono compiuti: politica dei redditi, nuovo sistema contrattuale, riforma del rapporto di lavoro nel settore pubblico, nuove regole per la rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro, tutto ciò è già un primo, importante embrione di una comune strategia.

E il Congresso della CGIL ha dato un contributo positivo in questa direzione, non solo per l’approfondimento di alcune singole questioni, ma per il taglio generale, per una scelta di linea politica, che in parte modifica e corregge posizioni precedenti. Di fronte a noi sta la necessità di un vasto processo di risanamento e di ristrutturazione dell’economia italiana, nella prospettiva dell’integrazione europea, il che comporta la definizione di linee politiche capaci di garantire un nuovo livello di efficienza complessiva del sistema; e insieme la ricostruzione di un tessuto di solidarietà, per contrastare le spinte disgreganti e corporative.

Il sindacato può avere un ruolo e un peso politico se la sua proposta ha questa dimensione, se non riduce la sua azione ad un insieme confuso e contraddittorio di difese corporative, se insomma sa scegliete sulla base di chiare priorità, sulla base di una sua visione generale dello sviluppo e dei fini a cui esso va indirizzato.

Di tutto ciò dovremo discutere a fondo per dare più forza e solidità alla prospettiva unitaria, per rendere possibile la costruzione di un sindacato unitario, democratico e pluralista, che rappresenterebbe nell’attuale situazione politica dell’Italia, un potente elemento di coesione, un argine alle tendenze particolaristiche, una nuova ragione di fiducia e di mobilitazione attiva dei lavoratori.

Non possiamo dimenticare, d’altra parte, che siamo oggi nel vivo di una precipitazione della crisi politica e istituzionale del paese. Il sindacato non può essere assente, ma deve assumere le proprie responsabilità, perché non si tratta solo di una situazione di ordinaria instabilità politica, ma di un passaggio cruciale dal quale dipende il futuro del nostro ordinamento democratico.

Credo che il movimento sindacale, in quanto grande organizzazione della società civile, debba essere parte attiva nella battaglia per una riforma democratica dello Stato, per un nuovo ordinamento che valorizzi le autonomie e spezzi il vecchio apparato centralistico, per un’uscita dalla crisi che non sia quella della semplificazione autoritaria, ma della costruzione di nuovi poteri democratici.

Nell’attacco al potere negoziale del sindacato, nel tentativo di cancellare la contrattazione articolata, e nella resistenza politica che viene opposta ad ogni proposta riformatrice e all’esigenza di una politica dei redditi, c’è anche questo significato politico più ampio.

Non è solo uno dei tanti episodi di controffensiva padronale, ma è in gioco l’equilibrio dei poteri democratici nella nostra società. Una tale battaglia ha bisogno, per essere vinta, di un sindacato capace di rinnovarsi, in un rapporto democratico trasparente con i lavoratori che vuole rappresentare, e capace di conquistare un nuovo livello di unità.

La CGIL, con il suo Congresso, ha compiuto in questa direzione alcuni passi importanti. Si tratta ora di vedere se l’insieme del movimento sindacale saprà cogliere le nuove opportunità.



Numero progressivo: B17
Busta: 2
Estremi cronologici: 1992, febbraio
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: “Politica e amicizia”, febbraio 1992, pp. 44-45