COMITATO DIRETTIVO CGIL LOMBARDIA DEL 9 APRILE 1992

Relazione di Riccardo Terzi

La relazione sarà articolata su tre punti: la nuova situazione politica dopo le elezioni del 5-6 aprile, la discussione nella CGIL sulle regole della democrazia interna, le prospettive della trattativa sul costo del lavoro e sulla contrattazione.

I. Credo necessaria una valutazione dei risultati elettorali per cercare di capire l’evoluzione del quadro politico entro il quale si colloca anche la nostra iniziativa sindacale: una iniziativa autonoma, ma certamente non separata dal contesto più ampio. E per cercare di cogliere i processi più profondi che sono in atto nella coscienza collettiva del paese, i quali sicuramente hanno un effetto rilevantissimo anche sotto il profilo dei rapporti tra il sindacato e i lavoratori.

Si è trattato, a me pare, di un risultato elettorale che segna una rottura, una discontinuità nella situazione politica, e che determina una fase politica nuova. Si è rotto il vecchio equilibrio politico e si apre una fase ancora molto incerta, confusa, dagli esiti non prevedibili, la quale dovrà portare alla configurazione di un nuovo equilibrio politico.

Come giudicare questo processo? Possiamo considerarlo come un’occasione di rinnovamento, o possiamo vedere in esso il rischio di arretramento e di ingovernabilità, di frammentazione non controllabile del sistema politico. È evidente che qui siamo nel campo di valutazioni strettamente politiche, sulle quali possono esserci tra di noi giudizi divergenti Mi pare in ogni caso difficile un pronunciamento netto per una delle due alternative, perché nella realtà convivono occasioni e rischi, potenzialità nuove e pericoli da contrastare.

Occorre in primo luogo compiere un’analisi più approfondita di quella che possiamo fare oggi. Dovremo approfondire l’analisi dei comportamenti elettorali, sotto il profilo sociale, per capire quali tendenze emergono dentro il mondo del lavoro, nei suoi diversi segmenti, nella classe operaia tradizionale e nei nuovi settori, nelle diverse generazioni, nelle diverse aree territoriali. Possiamo dare in questo senso un’indicazione di lavoro alle nostre strutture territoriali, per compiere questo esame più attento e dettagliato, perché abbiamo bisogno di conoscere meglio il contesto, cioè il quadro complessivo delle tendenze che sono in atto e dentro le quali poi dovremo svolgere la nostra iniziativa.

Tutto il rapporto sindacato quadro politico mi pare oggi più problematico di prima; i tradizionali schemi di riferimento e di interpretazione non funzionano più, o quanto meno si presentano oggi in modo più complicato. Io credo, ad esempio, che sia di scarsa utilità un’analisi che parte dalla domanda se c’è stato uno spostamento a destra o meno, perché ponendo così la questione, in modo così meccanico, riusciamo a capire poco di quello che sta accadendo. Mi pare piuttosto che sia presente una crisi di fiducia nel sistema politico che ha motivazioni molto complesse, e che non è riducibile ad un unico fattore.

Noi abbiamo avuto qui in Lombardia la conferma molto massiccia di un processo già avvenuto in occasioni precedenti: la conferma cioè del successo della Lega Nord. Indubbiamente il fenomeno leghista è un fatto politico di prima grandezza, che è stato troppo a lungo sottovalutato dalle forze politiche e sindacali.

Voglio ricordare che noi, come CGIL Lombardia, avevamo tentato di farci i conti, di analizzare il fenomeno e di tirare alcune conseguenze di linea politica e di battaglia culturale, evitando di correre dietro alla corrente, in modo subalterno, ed evitando di dare una risposta soltanto retorica, di astratta condanna morale, che dal punto di vista politico non produce assolutamente nulla.

Io considero ancora valide nel loro impianto generale le considerazioni che avevamo fatto in quella sede, in un apposito convegno dedicato all’analisi del fenomeno del localismo e del leghismo.

C’è bisogno di una risposta politica di carattere strategico, di una risposta forte e convincente ad un bisogno confuso di cambiamento che percorre l’intero corpo sociale. In assenza di una tale risposta e il sistema politico finora è stato del tutto incapace di offrirla il fenomeno non si riassorbe, ma al contrario si radicalizza.

Ed è un problema questo non solo politico, ma sociale e anche sindacale. In fondo, a guardare bene, il leghismo è in forme rozze una rivendicazione di autonomia della società civile rispetto al sistema politico, e quindi esso incide direttamente sui comportamenti sociali. E anche noi rischiamo, come sindacato, di apparire come una struttura lontana, burocratizzata, come un anello del sistema di potere.

Il secondo aspetto, speculare al primo, e la necessità di ricostruire una prospettiva unitaria della sinistra, anche per rispondere in modo efficace ai pericoli che si riassumono nel successo della Lega.

La sinistra si è presentata a questo appuntamento elettorale molto frammentata; la debolezza della sinistra è l’effetto di una divisione, di una frammentazione che si e accentuata in questa ultima fase. Dobbiamo vedere che ruolo può avere la CGIL, da questo punto di vista.

Credo che sia possibile e necessario svolgere un ruolo attivo, naturalmente su una base rigorosa di autonomia rispetto a qualunque collegamento di partito; salvaguardando il nostro regime interno da ogni tentativo di incursione.

La CGIL, che ha rapporti storici consolidati con la sinistra politica, non può essere in questa fase in una posizione passiva, come una spettatrice di quello che accade sulla scena politica. Può invece esercitare una sua influenza, che favorisca un processo nuovo di aggregazione e di unità.

Avevamo pensato anche nel corso della campagna elettorale di darci un appuntamento impegnativo di confronto con le forze politiche, e questa esigenza può essere ripresa, in forme che dovremo valutare, nella convinzione che per tutte le forze politiche della sinistra, nessuna esclusa, c’è oggi bisogno di uscire dai vecchi schemi, di compiere un ripensamento strategico, di avere un nuovo scatto politico per far fronte alla situazione che si è così profondamente modificata.

Si apre quindi una fase che possiamo dire di transizione: da un vecchio equilibrio che si è rotto a un nuovo equilibrio ancora tutto da costruire. Se di transizione si tratta, non basta certo il criterio astratto della governabilità, che proprio non si capisce bene che cosa possa significare in questo momento. Occorre accelerare i tempi della transizione, fare in modo che si possa rapidamente giungere ad un nuovo equilibrio politico, perché certo non potremo permetterci un lungo periodo di incertezza, perché incalzano questioni sociali ed economiche che non possono essere rinviate all’infinito.

In questa fase stanno al centro del dibattito politico i problemi della riforma dello stato, della riforma del sistema politico. E il sindacato non può essere assente, lo è stato anche troppo a mio giudizio nei mesi passati. Vi sono questioni urgenti; la riforma della legge elettorale, il regionalismo, l’attuazione di nuove regole nel rapporto tra politica e società. E questi debbono essere anche obiettivi nostri, oltre naturalmente agli obiettivi e alle rivendicazioni sociali per una svolta nella politica economica e sociale del paese.

Io non propongo su questa prima parte di prendere posizione come organismo dirigente, credo pero utile un confronto politico esplicito fra di noi, anche se in forme interlocutorie, perché altrimenti ciascuno di noi cercherà fuori dalla CGIL le sedi del confronto e i propri punti di riferimento. Credo che sia utile in un organismo dirigente come questo cercare di vedere se abbiamo alcune coordinate comuni di valutazione per quanto riguarda gli scenari politici che si apriranno sulla base di questi ultimi risultati elettorali.

II. Il problema delle regole e della democrazia nella CGIL è stato affrontato dal comitato direttivo nazionale sulla base di un’ampia relazione di Bruno Trentin. Su questa base si e data l’indicazione di aprire una discussione ampia ed esplicita di tutta l’organizzazione, nei gruppi dirigenti ai vari livelli. Io quindi potrei cavarmela con un semplice rinvio al testo della relazione di Trentin, di cui condivido l’impostazione politica. Credo però che sarebbe un errore Se ci limitassimo ad una sorta di ratifica formale: mettiamo ai voti la relazione di Trentin, e tutto finisce li. Questo non ci farebbe compiere nessun passo in avanti e non provocherebbe nessun chiarimento. Abbiamo bisogno di una discussione effettiva, di un approfondimento politico.

La relazione di Trentin lancia un allarme, sostiene (questa mi pare la sostanza) che siamo ad un passaggio critico: è a rischio l’unita e l’autonomia della CGIL, sono a rischio gli stessi risultati del congresso. Il nostro congresso aveva cercato di affermare una nuova pratica pluralista nella vita dell’organizzazione, con il riconoscimento del pluralismo come valore e insieme con l’impegno per una gestione unitaria: e aveva trovato il proprio collante unitario nell’impegno comune intorno ai principi e ai valori del programma fondamentale. Ora questi risultati hanno bisogno di una nuova verifica. È giustificato questo allarme che ispira la relazione di Trentin? Questo è il punto sul quale dobbiamo confrontarci. Che cosa è avvenuto nella pratica dopo il congresso?

A me pare che nella pratica i rapporti tra maggioranza e minoranza hanno preso, in generale – sia pure con delle eccezioni positive – un binario scarsamente costruttivo, come se ciascuno ai fosse ormai ritagliato il suo pezzetto di potere mettendosi a coltivare il proprio orto, senza uno sforzo sufficiente ed adeguato per andare oltre, per mettere in moto un processo più ricco nella vita dell’organizzazione. Per cui o c’è il compromesso per una gestione soltanto formalmente unitaria, o c’è, in alcuni casi, la rottura e l’incomunicabilità.

Resta quindi il problema di come riusciamo a combinare pluralismo ed unità, diritto al dissenso e ricerca di una sintesi più alta, di uno stile di direzione che realizzi un’effettiva collegialità e responsabilità dei gruppi dirigenti. In questo senso c’è un problema di regole da concordare, regole che sono efficaci, in quanto sono condivise dall’insieme dell’organizzazione.

Credo che sia un errore del tutto assurdo quello di vedere in questo richiamo alle regole il tentativo di una normalizzazione autoritaria; qualunque democrazia organizzata funziona se sono chiare le regole che presiedono al suo funzionamento. Ma certo prima delle regole c’è un problema di chiarimento politico, per verificare le condizioni di un nuovo patto nella vita della nostra organizzazione.

L’esigenza della discussione e del chiarimento politico mi sembra in questa fase prioritaria, per delimitare con chiarezza 1’ambito del dissenso, la natura delle differenze tra di noi

Nella relazione di Trentin si denuncia il rischio di una ideologizzazione del dibattito, per cui il dissenso, prima che al merito concreto delle questioni si riferisce a principi astratti, a giudizi generali di fase, con una tendenza alla schematizzazione: il sindacato subalterno, il sindacato integrato, e così via. Il rischio è in una forma di radicalizzazione del dissenso, che sfugge ai nodi concreti dell’agire sindacale.

Dobbiamo stare attenti a non portare il dissenso oltre una certa soglia, a non farne un elemento astratto, ideologico, che rende impossibile qualunque sforzo di mediazione unitaria. Perché in questo caso è il prestigio complessivo della CGIL che viene menomato.

Sulla base di un chiarimento politico, dovremo poi concordare delle regole, sul ruolo delle componenti sull’uso delle risorse, sulle forme in cui il dissenso si può esprimere. C’è inoltre un punto politico molto rilevante da approfondire che riguarda il rapporto democratico del sindacato con i lavoratori e con gli iscritti; sono i due temi della democrazia di mandato e della democrazia di organizzazione.

Sarebbe sbagliato contrapporre questi due aspetti, i quali hanno tra di loro una coerenza e richiedono entrambi di essere portati al livello più alto possibile, considerando con realismo i dati della situazione, le difficolta che su questo terreno abbiamo, nel rapporto unitario, senza immaginare quindi cose che non stanno nell’ordine delle possibilità reali. Nelle condizioni date, qual è la linea di condotta che dobbiamo cercare di attuare?

In assenza di una condizione piena di democrazia e di intesa unitaria, non possiamo stare fermi o rassegnarci ad una gestione meramente burocratica. Possiamo allora indicare quattro linee di lavoro:

1) l’impegno per l’applicazione del1’accordo sulle RSU.

Le cose non si sono ancora mosse nella misura necessaria, vi sono alcune prime iniziative, ma ancora non siamo passati alla fase attuativa dell’accordo. Occorre quindi una fortissima pressione in questa direzione per avere risultati concreti e immediati. Il fatto di far partire l’accordo sulle RSU è un passaggio decisivo per dare una risposta minimamente sufficiente ai problemi della democrazia sindacale, per avere quanto meno una democrazia rappresentativa autorevole ed efficiente, e non restare inchiodati al dilemma tra una democrazia referendaria, che poi non riesce a funzionare, e una pratica di puro arbitrio dei gruppi dirigenti.

2) Uno sviluppo effettivo e conseguente della democrazia di organizzazione; che non è solo il diritto a decidere degli organismi dirigenti, ma un metodo di coinvolgimento di tutte le strutture e degli iscritti, dando anche attuazione agli impegni per la formazione dei comitati degli iscritti in tutti i luoghi di lavoro.

3) L’impegno della CGIL ad operare in coerenza con il pronunciamento dei lavoratori, là dove esso si può esprimere, e cercando comunque di favorire e di creare tutte le occasioni possibili perché la manifestazione della volontà dei lavoratori sia visibile, considerando in ogni caso un vincolo politico questa coerenza. Noi abbiamo avuto dei casi anche nella nostra realtà lombarda – penso alla vertenza Olivetti – dove c’è stato un pronunciamento dei lavoratori: ne abbiamo tenuto conto, e stiamo lavorando perché si sviluppino tutte le possibilità di arricchimento, di correzione dell’accordo, per dare una risposta anche parziale alla volontà che i lavoratori hanno espresso.

4) Un rilancio dell’iniziativa legislativa per regolare in modo più compiuto i diritti dei lavoratori, e per definire le forme della democrazia diretta, in quali casi cioè si attiva l’istituto’ del referendum, che non può essere lasciato all’arbitrio, a una decisione di volta in volta lasciata al caso. Esistono proposte legislative sulle quali possiamo lavorare, così da offrire un quadro di certezza all’esercizio dei diritti democratici dei lavoratori.

Su questa base, che credo possa essere una base unitaria, possiamo dare un risposta più convincente anche ai problemi dei nostro regime interno, perché quanto più è forte il vincolo di effettive procedure democratiche, tanto più diventano impegnative per tutti le decisioni assunte proprio in quanto decisioni che sono passate attraverso una verifica democratica rigorosa.

In sostanza, a me pare che noi possiamo assumere unitariamente questo impegno per il massimo di democrazia possibile, senza usare strumentalmente il tema della democrazia ai fini della lotta politica interna.

Su queste basi – sviluppo della democrazia, ricerca di regole condivise, difesa dell’unita della CGIL nel riconoscimento pieno del pluralismo e del dissenso – possiamo compiere un ulteriore passo in avanti per una gestione unitaria e collegiale ai vari livelli.

Su questi temi potremo anche avere un momento più specifico di approfondimento, con un apposito seminario che affronti più nel concreto il problema delle regole, del funzionamento della nostra vita democratica. Però occorre da ora, da questo direttivo, una discussione politica chiara che chiarisca le posizioni in campo e la possibilità o meno di una convergenza e di un terreno di mediazione tra le diverse posizioni.

 

III. Sui problemi legati alla trattativa sul costo del lavoro e sulla contrattazione, è convocato un direttivo nazionale della CGIL, il 22-23 aprile, che dovrà fare il punto sulla situazione e definire in modo più compiuto la posizione della CGIL.

Quale ruolo possiamo svolgere come CGIL Lombardia? Quali orientamenti possiamo prendere in questo comitato direttivo?

Il problema non è semplice perché tutta la situazione e in movimento e ci muoviamo su un terreno ancora abbastanza scivoloso, ed e ancora tutto da verificare il rapporto unitario con CISL e UIL, e la possibilità di ridefinire un impianto unitario che tenga. Dobbiamo tenere conto, quindi, di una situazione che ha queste incognite, e quindi servirebbero a poco posizioni molto rigide, che rischiano poi di essere bruciate dallo sviluppo degli avvenimenti. Credo quindi che possiamo stare alla sostanza di una linea di carattere generale, senza pretendere di fissare in modo dettagliato i punti di una piattaforma possibile. Io proporrei di articolare così una nostra posizione, che può trovare espressione esplicita in un comunicato conclusivo:

1) Dobbiamo richiamare la centralità che hanno in questa fase i problemi di politica industriale, e quindi di iniziativa del sindacato per fare fronte alla crisi dell’apparato produttivo e ai processi di deindustrializzazione. Questo è un tema che abbiamo ampiamente affrontato in riunioni precedenti.

2) Necessità di aprire da subito una fase di contrattazione articolata, che sia qualificata dal punto di vista qualitativo: organizzazione del lavoro, sistema degli orari, professionalità, controllo dell’innovazione, forme di codeterminazione. Occorre impegnare l’insieme dei gruppi dirigenti a elaborare una strategia che sorregga un’azione articolata nei luoghi di lavoro.

3) Resta decisivo l’obiettivo di una riforma e di una razionalizzazione del sistema contrattuale sulla base delle linee portanti della piattaforma unitaria, il che significa pensare a due livelli di contrattazione, uno nazionale e uno decentrato, con uno spostamento significativo del baricentro verso questo secondo livello, nei luoghi di lavoro e nel territorio; con una delimitazione chiara dei compiti, tra i diversi livelli, senza sovrapposizioni, con una delimitazione delle cadenze contrattuali pensiamo a una cadenza di 4 anni per i contratti nazionali, per avere quindi lo spazio sufficiente per dare sviluppo alla contrattazione articolata e con una differenziazione più precisa del ruolo dei due tavoli, quello confederale e quello di categoria, sia al livello nazionale sia al livello decentrato.

4) Necessità del mantenimento di un meccanismo automatico ed universale di protezione dall’inflazione. Qui ci possono essere diverse ipotesi in campo, e credo che dobbiamo essere disponibili a ragionare senza schemi rigidi per favorire la ricomposizione di un quadro unitario su questa materia.

Certo ci sono per noi dei vincoli, non si tratta di una disponibilità a qualsiasi soluzione. E necessaria una linea che garantisca un’effettiva difesa del potere di acquisto dei lavoratori, in particolare per le fasce più deboli, per i lavoratori a basso reddito. Io credo che sia questo oggi l’elemento preminente; in questo senso credo che oggi avrebbe poco senso ridiscutere ipotesi come quella della percentualizzazione del meccanismo della scala mobile. Dobbiamo soprattutto ottenere un meccanismo di garanzia sufficiente per le fasce meno protette.

5) La trattativa può aprirsi anche in anticipo rispetto alla fatidica data di giugno, e un anticipo della trattativa può consentire di verificare meglio i termini della discussione, di dirimere, se possibile, il contenzioso che si è aperto con le nostre controparti, mantenendo in ogni caso la posizione che abbiamo assunto per quanto riguarda il pagamento degli scatti di maggio in coerenza con le intese contrattuali precedenti che si sono costruite nella previsione del mantenimento del meccanismo della contingenza, e quindi operando anche, se necessario, un’apposita azione legale.

6) Abbiamo bisogno di un confronto che chiarisca qual è il punto d’arrivo, qual è il modello: poi potremo vedere successivamente se è necessario avere una fase transitoria.

7) Accanto al confronto triangolare (che non si sa bene in quali condizioni si potrà avviare, perché il governo non c’è, e non sappiamo quando ci sarà e che caratteristiche avrà), dobbiamo tendere a sviluppare anche un rapporto bilaterale diretto fra le parti sociali per affrontare i problemi che riguardano la definizione di un nuovo sistema di relazioni industriali.

8) È decisivo naturalmente che si avvii subito un confronto molto serrato e ravvicinato con CISL e UIL per arrivare presto ad una piattaforma unitaria. Credo che possiamo fare uno sforzo unitario in questa direzione anche qui in Lombardia. C’è una disponibilità di CISL e UIL, per un ragionamento comune, dobbiamo quindi verificare se riusciamo qui a definire delle ipotesi che possano contribuire anche al dibattito e alle decisioni che dovranno essere prese a livello nazionale.

9) Infine dobbiamo ribadire l’impegno a trovare e a definire ln modo preciso le forme e gli strumenti per una consultazione tra i lavoratori, e in prima istanza per un coinvolgimento di tutte le nostre strutture e degli iscritti alla CGIL. Su questi punti proponiamo una presa di posizione del nostro organismo dirigente.



Numero progressivo: A12
Busta: 1
Estremi cronologici: 1992, 9 aprile
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: “Nota quindicinale della CGIL Lombardia”, n. 6, 18 aprile 1992, pp. 1-5