COALIZIONE O PARTITI?

L’alternativa non è l’unica strada

di Riccardo Terzi

La dialettica tra partito e coalizione non ha ancora trovato un punto di equilibrio. Le ragioni del partito e le ragioni della coalizione si presentano come due logiche alternative e conflittuali: o vince la logica di coalizione, e i partiti devono fare un definitivo passo indietro, o viceversa si afferma il valore delle identità politiche e la coalizione va in frantumi. È inevitabile che sia così? O si può trovare una linea di integrazione, di mediazione?

È un problema che il congresso di Torino non ha saputo risolvere. È stato delineato, con più nettezza, il profilo politico e ideale del partito, ponendo fine ad una lunga fase di incerta transizione: non c’è più la carovana, l’infinita ricerca di un nuovo punto di approdo, ma c’è un partito che rivendica il suo ruolo autonomo, come forza della sinistra europea. Ma questo risultato, che è l’aspetto più positivo del congresso, deve fare i conti con i problemi irrisolti della coalizione, e rischia di essere rimesso in discussione, di essere rapidamente neutralizzato e svuotato. Nella realtà, continua ad essere operante una spinta dissolutiva, una pressione che va nel senso della destrutturazione delle identità collettive. Le decisioni politiche del congresso sono messe duramente alla prova.

La prima trappola da affrontare è il prossimo referendum sulla legge elettorale, il quale ha una evidente vocazione antipartitica. Appoggiare questo referendum è del tutto incoerente con l’asse politico del congresso, perché il suo obiettivo è quello di scalzare definitivamente il ruolo dei partiti politici. Che senso ha avviare la ricostruzione di una identità autonoma del partito, e contemporaneamente avallare una campagna di delegittimazione dei partiti? Per rimettere in equilibrio il rapporto tra partito e coalizione occorre anzitutto una legge elettorale che sia attenta ad entrambe queste funzioni, che le riconosca e le salvaguardi. Il sistema maggioritario a turno unico rende questo equilibrio del tutto impossibile. L’attuale quadro di conflittualità e di tensione all’interno delle due coalizioni, e le logiche trasformistiche, la ricerca delle alleanze più disparate e contraddittorie, sono l’effetto logico dell’attuale sistema. Il responsabile di queste degenerazioni non è Berlusconi, ma è la legge elettorale, così come è oggi e anche, a maggior ragione, come risulterebbe dal referendum.

Non mi addentro nella discussione sulle soluzioni possibili (sistemi a doppio turno, sistemi proporzionali corretti con sbarramento e premio di maggioranza), ma dovrebbe comunque essere chiaro che il nodo irrisolto della legge elettorale è alla base dell’attuale stato di sofferenza del sistema politico. Un moderno partito della sinistra non è credibile e perde la sua autorevolezza se, sfidato dalla demagogia plebiscitaria, pensa di cavarsela correndo dietro alle mode e rinunciando a dare battaglia. Ciò che dobbiamo fronteggiare è un processo profondo di logoramento della vita democratica, che porta a vanificare qualsiasi progetto di cambiamento sociale, riducendo la politica alla competizione personalistica all’interno di un ristretto gruppo oligarchico. Si tratta di una riproduzione aggiornata della logica feudale: non c’è cittadinanza politica, ma c’è solo il rapporto di vassallaggio, di fedeltà personale al capo, al grande feudatario. Ciò rappresenta il certificato di morte per qualsiasi idea di sinistra. Ora, prendendo in esame le diverse possibili soluzioni al tema della coalizione, la prima ipotesi consiste appunto nella piena assunzione di questo orizzonte neo-feudale: la coalizione non è altro che l’agglomerato di forze che si riconoscono in una proposta di leadership. Non è la coalizione che esprime un leader, sulla base di un progetto, ma all’inverso la coalizione si definisce solo in funzione del leader. La personalizzazione della vita politica sostituisce alla dialettica tra destra e sinistra, ovvero tra progetti sociali alternativi, la competizione personale per il potere. La scelta democratica non riguarda ormai più il programma, il che cosa fare, ma solo la leadership, ovvero chi fa ciò che comunque è necessario fare, nell’indifferenza per i contenuti. Mi hanno molto colpito, in questo senso, le dichiarazioni di Bassolino a sostegno di una lista incardinata sul suo nome, perché, con impressionante coerenza, si sosteneva appunto l’irrilevanza della distinzione tra destra e sinistra. La risorsa è solo il prestigio personale del leader, non altro. Trovo questa concezione del tutto aberrante, e inquietante il fatto che essa si stia facendo strada anche all’interno della sinistra, senza che ci sia una reazione, una ripulsa. Ormai ci si domanda solo: serve a vincere? Come se vincere in questo modo, azzerando le ragioni della sinistra, fosse una vittoria e non la peggiore delle disfatte.

La seconda concezione è quella delle «due gambe»: c’è la sinistra e c’è l’area centrista moderata, tra loro in un rapporto di distinzione e di competizione. Può sembrare una soluzione, perché c’è il riconoscimento delle differenze e c’è quindi lo spazio per una forza autonoma della sinistra. Ma si tratta solo di uno spazio subalterno, perché il senso di questa teoria si riassume nell’idea che la partita politica si vince al centro, e che dunque all’area di centro spetta la funzione di guida. Di qui vengono tutte le attuali fibrillazioni nell’ambito del centrosinistra, e il complesso lavorio per logorare e delegittimare il ruolo primario dei Ds nel governo. La coalizione si configura quindi come una alleanza a egemonia moderata, con la sinistra che fornisce solo le truppe di complemento. Si torna cioè alla più classica concezione del centro-sinistra nella sua versione democristiana.

Una terza possibile soluzione è quella di una coalizione plurale, ma impegnata in un processo di convergenza, di coesione, senza fissare rigidamente e aprioristicamente le diverse aree di influenza tra la sinistra e il centro. La conquista del consenso, anche nell’area moderata, non è il compito di una parte, ma è il compito della coalizione in quanto tale. In questa ottica, la coalizione non è fondata né sulla dissoluzione dei partiti, né su una riproposizione statica di identità irrigidite, ma su un progetto comune che costringe tutti a ridefinirsi, dentro un processo aperto di rielaborazione culturale. Se ho capito bene, è questo il senso del progetto politico di Martinazzoli in Lombardia. La lista unitaria non è, in questo caso, la lista personale del leader, ma la scelta consapevole e convergente dei partiti che insieme, da protagonisti, cercano di costruire una nuova prospettiva. Credo che si debba lavorare in questa direzione, per una coalizione che sia il luogo di una ricerca unitaria, nel riconoscimento delle diverse tradizioni e culture politiche, le quali debbono essere chiamate non a riprodursi staticamente, ma a rinnovarsi e a confrontarsi con le nuove sfide del mondo globalizzato. Così ci può essere un intreccio positivo tra partito e coalizione, tra identità culturali autonome e ricerca unitaria. Dopo il congresso di Torino, che ha correttamente affrontato il tema del partito, oggi dobbiamo definire un’idea di coalizione. La coalizione non può essere l’anticipazione del partito unico, né può essere il campo di battaglia per una estenuante lotta per l’egemonia: deve realizzare l’unità nella differenza, il che richiede da parte di tutti i contraenti dell’alleanza una identità sempre aperta al confronto.



Numero progressivo: H54
Busta: 8
Estremi cronologici: 2000, 15 marzo
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagina quotidiano
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - Riflessioni politiche -
Pubblicazione: “L’Unità”, 15 marzo 2000