[CNEL – INCONTRO SULLA RIFORMA DELLO STATO]

Relazione di Riccardo Terzi – Coordinatore del Gruppo di Lavoro su Regionalismo e Decentramento Istituzionale della V Commissione del CNEL

Noi ci occupiamo, in questo nostro incontro, del processo di riforma dello Stato con particolare riferimento ai due disegni di legge presentati dal Governo e conosciuti con il nome del Ministro Bassanini, già approvati al Senato ed ora all’esame della Camera dei deputati.

Con questi due disegni di legge si può dire che il processo di riforma dello Stato compie i suoi primi passi. È il primo serio tentativo di avviare un processo di riforma seguendo due direzioni fondamentali: la prima riguarda lo snellimento e la semplificazione delle procedure amministrative, attraverso un ampio processo di delegificazione, l’alleggerimento del sistema dei controlli, più autonomia per gli enti locali con l’obiettivo di un nuovo rapporto di trasparenza tra cittadini e amministrazione. La seconda direzione fondamentale riguarda il trasferimento di funzioni verso le Regioni e gli enti locali nella prospettiva di una organizzazione dello Stato di tipo federalista.

A me pare che sia essenziale l’interrelazione tra questi due movimenti: federalismo e riforma amministrativa. Perché il federalismo non è in sé “obiettivo, il federalismo è solo lo strumento per una migliore organizzazione dello Stato, per una migliore prestazione delle strutture pubbliche, quindi per una amministrazione che sia adeguata alle nuove domande sociali. Occorre, contestualmente, decentrare e riformare lo Stato, perché un decentramento senza riforma amministrativa produrrebbe soltanto una proliferazione dell’inefficienza.

Al contrario, una riforma amministrativa senza decentramento sarebbe un’operazione del tutto velleitaria perché l’accentramento impedisce di raggiungere i requisiti indispensabili di flessibilità e di adeguatezza delle strutture amministrative ai diversi contesti sociali e territoriali.

È inoltre essenziale comprendere il carattere di “processo”: un processo necessariamente complesso e di lunga durata, il quale comporta gradualità, approssimazioni successive, sperimentazioni e verifiche.

La riforma dello Stato non è un atto, non è l’evento mitico del passaggio alla “Seconda Repubblica”, ma è una concatenazione coerente di atti. Dobbiamo distinguere due fasi fondamentali: una prima fase di riforme a Costituzione invariata – ed è la fase che si è cominciata ad impostare con i due disegni di legge Bassanini – e, in secondo luogo, le riforme costituzionali. Merito del Governo è, sicuramente l’avere avviato la prima fase, la quale ha, a mio giudizio, una importanza molto rilevante perché si tratta di preparare le condizioni che rendono possibili ed efficaci interventi di carattere costituzionale, i quali hanno bisogno di un processo di preparazione, e perché abbiamo bisogno di produrre primi risultati in tempi brevi per intervenire sulla crisi di fiducia che sì è aperta nel rapporto tra cittadini ed istituzioni.

Da questo punto di vista, il giudizio della nostra Commissione sui due provvedimenti predisposti dal Governo è complessivamente positivo. Le relazioni che si terranno dopo questa mia introduzione entreranno più direttamente nel merito anche con l’indicazione di punti critici non del tutto risolti. Il giudizio complessivo è positivo ed è per questo che sollecitiamo la rapida approvazione dei disegni di legge collegati alla Finanziaria e, successivamente, l’avvio dell’esame in Parlamento degli altri provvedimenti, pure importanti, come quelli che riguardano le modifiche alla legge n° 142 del 1990 in materia di ordinamento degli enti locali, le questioni relative al completamento del processo di privatizzazione dell’impiego pubblico, e così via.

A questo punto, credo che dobbiamo anche riflettere in modo più preciso sul rapporto tra quella che ho chiamato la “fase 1” e la ‘‘fase 2”, cioè tra i provvedimenti oggi in discussione e il lavoro successivo che dovrà essere compiuto nell’ambito della Commissione Bicamerale, se e quando, questa Commissione sarà finalmente istituita.

Intendiamoci: non c’è un rapporto stretto, diretto e di dipendenza tra questi due momenti; però ai fini di un disegno coerente e consapevole è importante vedere già oggi quale può essere il punto di arrivo del processo, cioè quale ordinamento dello Stato, quale modello di federalismo per l’Italia.

Il processo che si avvia ha bisogno, infatti, per essere davvero organico ed incisivo, di una nuova cornice istituzionale, altrimenti rischia di restare un processo parziale, monco o comunque di non produrre tutti gli effetti positivi che in esso sono impliciti. Per questa ragione è importante che la Bicamerale parta, superando le difficoltà politiche che sono intervenute ultimamente. Lo strumento della Bicamerale è lo strumento essenziale per cominciare ad impostare la nuova cornice istituzionale.

Io accenno soltanto ad alcuni problemi, alcuni nodi. Primo: il significato che si attribuisce al principio di sussidiarietà, che è uno dei criteri indicati anche nei disegni di legge Bassanini. In realtà, il termine “sussidiari età” si presta a diverse interpretazioni: da un lato è il “privilegiamento” del livello istituzionale più vicino ai cittadini; dall’altro è anche spesso inteso come “privilegiamento” del privato rispetto al pubblico e, in questo ultimo caso, occorre chiarire di quale privato si tratta, se del privato in senso lato, in senso generico o se del privato sociale.

Io credo che occorra probabilmente una combinazione intelligente di questi due criteri, evitando gli errori di un “iper-municipalismo” che non tiene conto della diversa complessità dei problemi, non tutti risolvibili a livello municipale, e non tiene conto neppure delle diversità strutturali esistenti tra i Comuni: vi sono, infatti, grandi Comuni in grado di svolgere funzioni rilevanti e poi c’è una proliferazione, una frantumazione di piccole realtà comunali. E occorre evitare, dall’altro lato, un “iper-liberismo” che pensa di risolvere tutto con la privatizzazione dei servizi, perdendo di vista i doveri costituzionali di uguaglianza e di garanzia dei diritti fondamentali.

Secondo aspetto: i problemi di flessibilità e di gradualità del processo di riforma, tenendo conto delle diverse condizioni di partenza. L’Italia è un paese assai differenziato, con situazioni molto diseguali dal punto di vista sociale e dal punto di vista economico. Come impostare quindi un processo di riforma che tenga conto di questi diversi punti di partenza? Qualcuno sceglie come possibile modello di riferimento il caso spagnolo, che è un federalismo a geometria variabile. Il modello spagnolo ha il limite di un eccesso di complicazione e, quindi, di una difficile gestione, con il risultato di sovrapporre alle nuove strutture decentrate il mantenimento di una forte e non riformata amministrazione centrale, proprio perché la regia del processo di riforma richiede il mantenimento di una struttura statale ancora molto consistente. Allora, più che ad una flessibilità strutturale del modello, io credo che si possa pensare piuttosto ad una flessibilità dei tempi di attuazione del processo.

Terzo aspetto: il rapporto tra Regioni ed enti locali. È questo un punto critico, travagliato, oggetto di una situazione conflittuale che, credo, dobbiamo tutti operare perché venga rimossa. Perché il processo di riforma si realizzi, abbiamo bisogno di una alleanza tra i diversi livelli istituzionali, cioè una alleanza di tutto il sistema delle autonomie. Comunque il problema c’è. Che tipo di rapporto pensiamo tra il livello regionale ed il livello locale?

Il federalismo – se di federalismo si tratta – non può che avere come suo cardine la dimensione regionale o anche sovraregionale, perché è appunto la Regione l’anello debole, l’anello mancante nel nostro sistema. Noi abbiamo uno Stato centralizzato ancora molto consistente, anzi eccessivamente invadente, e abbiamo una rete forte di autonomie locali: è l’anello regionale quello debole, quello che non ha funzionato e che bisogna far funzionare. Certo, occorre pensare ad una Regione che non sia la riproduzione del modello centralistico – burocratico, ma pensare ad una Regione che al suo interno costruisce un pluralismo istituzionale e sociale; in altre parole quella che nella ispirazione del CNEL viene chiamata la “poliarchia”, cioè l’esigenza di un pluralismo di istituzioni.

Da questo punto di vista, io credo che sia molto importante il tema della Seconda Camera. Mi pare che nella prospettiva di un federalismo che sia coerente, la soluzione più adeguata non può che essere quella di una Camera delle Regioni che consenta una diretta partecipazione delle istituzioni territoriali – in quanto tali – alla grande legislazione nazionale e anche ad alcune nomine rilevanti degli organi di garanzia, come la Corte Costituzionale ed il Consiglio Superiore della Magistratura.

Quarto aspetto: se il federalismo significa il riconoscimento di diversi livelli istituzionali tra loro coordinati non in senso gerarchico, non v’è dubbio che si tratta di riesaminare una serie di istituti, i quali hanno senso soltanto dentro una impostazione di tipo gerarchico, di controllo “dell’alto sul basso”. Questo vale per il sistema dei controlli – controlli statali, controlli sugli atti amministrativi degli enti locali -, vale per l’istituto prefettizio, vale per una figura un po’ anomala come quella dei Segretari Comunali, tuttora dipendenti dal Ministero dell’Interno.

Io credo che su questi aspetti qualche cosa si è cominciato ad impostare con i due decreti Bassanini, però esistono tuttora dei residui di struttura centralistica che, prima o poi, dovranno essere smantellati.

Infine, un punto sicuramente rilevante, che io non tratto, è quello delle risorse: quale meccanismo di distribuzione? Quale tipo di federalismo fiscale? Occorre avere meccanismi certi di perequazione tra aree forti e aree deboli per un federalismo, come si usa dire, di tipo “solidale”.

Questi mi sembrano alcuni nodi – ma ce ne sono sicuramente altri che possono essere aggiunti – che è bene cominciare ad affrontare in questo passaggio dalla “fase 1 alla fase 2”, cioè in questo passaggio in cui sta venendo a conclusione un processo rilevante con i due disegni di legge Bassanini, e occorre cominciare ad impostare, in modo più organico, un disegno complessivo di riforma.

Il CNEL intende impegnarsi su questi temi: già ne abbiamo discusso nell’Assemblea del CNEL. C’è la scelta di un forte impegno sui problemi di riforma dello Stato, proprio in quanto il CNEL è espressione delle forze sociali. Un nuovo patto costituzionale – quello che dovrà essere impostato nei prossimi mesi – deve essere il risultato di un largo confronto nella società, cioè non può essere riservato al ceto politico e agli specialisti. È per questo motivo che c’è bisogno di un impegno delle forze sociali.

Le riforme istituzionali consentiranno di dare vita ad una nuova cornice, ma dentro questa nuova cornice occorre riorganizzare la società civile. Il federalismo è un nuovo contesto, un nuovo modello istituzionale che potrà essere tanto più vivo ed efficace, quanto più si riorganizza su base federalista il tessuto sociale ed economico del paese. Se non si attiva anche un federalismo sociale, noi rischiamo di fare un’operazione che non è sufficientemente innovativa. E allora questo apre dei problemi che anche le forze sociali dovranno affrontare, perché le rappresentanze sociali e le loro relazioni sono tuttora modellate sullo Stato centralizzato, come le relazioni contrattuali e le modalità organizzative delle grandi organizzazioni sociali.

C’è quindi un problema di riforma che riguarda anche noi. Le forze sociali rappresentate qui al CNEL dovranno non soltanto seguire con impegno il processo di riforma dello Stato, ma anche interrogarsi più a fondo su se stesse e sul proprio ruolo.



Numero progressivo: C4
Busta: 3
Estremi cronologici: 1996, 3 dicembre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Stampa da file PC
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - CNEL -