CARA CISL, FACCIAMO IL SINDACATO DI TUTTI

di Riccardo Terzi – Segretario generale della CGIL Lombarda

Le tesi per il XII congresso della CISL si aprono con l’indicazione dell’unità sindacale come obiettivo strategico, per l’oggi e non per un futuro indeterminato. Si tratta di un fatto politico rilevante, che sarebbe sciocca miopia ignorare o interpretare come un gesto di routine, destinato a finire nel nulla. Una scelta dilatoria, secondo la quale l’unità è sempre un problema del domani e mai dell’oggi, mi sembra essere la soluzione peggiore e la più ipocrita. Occorre invece un confronto immediato e stringente.

In una fase straordinaria di cambiamento e di transizione verso nuovi assetti politici e istituzionali, le vecchie appartenenze sono ormai solo un elemento di conservazione: lo sono sul piano politico, dove sarà vincente chi è in grado di costruire nuove più larghe aggregazioni, e le sono ancora di più sul piano sindacale, dove non hanno alcuna ragione d’essere divisioni ideologiche.

Tutto facile, dunque? No, siamo solo all’inizio di una discussione che è tutta da fare. Non servono dichiarazioni retoriche sull’unità, ma serve un chiarimento di strategia, e ciò appunto viene sollecitato nel documento congressuale della CISL. Per alcune scelte non c’è alcun motivo di dissenso. Piena affermazione dell’autonomia del sindacato, decentramento e sburocratizzazione della struttura organizzativa, valore dell’autonomia della società civile e delle sue forme di auto-organizzazione, scelta dell’orizzonte europeo come nuova ed essenziale dimensione del sindacalismo moderno, sono punti d’arrivo anche nella riflessione e nell’elaborazione della CGIL, anche se resta ancora grande la distanza tra le acquisizioni teoriche e la pratica concreta. Ma questo, credo, è un problema di tutti e dimostra quanto ancora siano tenaci le resistenze e le forze d’inerzia dentro una grande organizzazione di massa, e come dunque sia necessaria non solo l’enunciazione di una linea politica, ma una battaglia aperta e decisa per la sua realizzazione.

Più complessa e controversa mi sembra essere la discussione sulle regole della democrazia sindacale, e questa discussione ha evidentemente un valore pregiudiziale. Esistono due problemi distinti, entrambi essenziali, che richiedono distinte procedure democratiche: il rapporto con gli iscritti, e il rapporto con l’insieme dei lavoratori. Nelle tesi della CISL c’è il riconoscimento di questi due lati del problema e della necessità di un raccordo tra di essi, anche se l’accento è posto sulla «natura associativa del sindacato» e sul «primato della democrazia rappresentativa, e quindi del ruolo dell’iscritto›. Io non parlerei di «primato» ma di due aspetti distinti, che vanno entrambi affrontati come elementi decisivi per un sindacato democratico, e mi sembra improprio l’uso del termine «democrazia rappresentativa» riferito solo agli iscritti, perché le istituzioni della democrazia rappresentativa, ovvero delegata, non possono che essere il risultato di una verifica democratica di carattere generale, che ha come platea l’universalità dei soggetti che si vogliono rappresentare, così come si è deciso di fare con l’elezione di nuove rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro, elette liberamente da tutti i lavoratori, senza monopoli e senza rendite di posizione per nessuno.

In ogni caso, va riconosciuto in linea di principio che il sindacato, in quanto le sue decisioni producono effetti che riguardano tutti i lavoratori, non è solo un’associazione e non può limitare la sua democrazia nell’ambito degli iscritti, anche se questo ambito è sicuramente un momento essenziale. Oggi, in effetti, siamo carenti sotto entrambi i punti di vista; l’unità sindacale si deve quindi collegare esplicitamente ad un progetto chiaro di riforma democratica del sindacato, altrimenti essa può apparire solo il prodotto di un accordo dei gruppi dirigenti, di una mediazione di vertice, col rischio di accentuare ulteriormente il distacco tra sindacato e lavoratori.

Accanto alle regole, va preliminarmente chiarita e definita la natura del sindacato, la sua collocazione nel quadro delle relazioni sociali. Da questo punto di vista, va discusso più a fondo il tema della partecipazione, il passaggio – come si dice nelle tesi CISL – «dall’antagonismo alla partecipazione». Questo passaggio richiede processi profondi di cambiamento nell’assetto organizzativo e nella strategia delle imprese, e c’è sicuramente oggi una possibilità nuova e più avanzata, perché le imprese stesse hanno bisogno, per raggiungere nuovi obiettivi di qualità, di una valorizzazione del lavoro umano, di una sua responsabilizzazione, superando i vecchi modelli tayloristici.

Ma si tratta, credo, di un terreno di lotta, di una potenzialità che si può aprire, e non di una evoluzione spontanea e scontata. Occorre allora definire con esattezza le forme possibili di una nuova democrazia d’impresa, i suoi strumenti, le sue regole, le possibili procedure di controllo e di codeterminazione, e vedere meglio il rapporto tra cooperazione e conflitto, il quale può assumere forme diverse, ma non può essere eliminato, perché esso sta nella natura stessa di una economia di mercato.

Insomma, la discussione può a questo punto essere avviata concretamente, e le tesi della CISL possono essere valutate come un primo approccio, sicuramente parziale, discutibile su alcuni punti, ma aperto ad una ricerca unitaria costruttiva per esplorare la possibilità di dar vita in tempi ravvicinati ad un nuovo sindacato confederale unitario, pluralista e democratico.


Numero progressivo: B11
Busta: 2
Estremi cronologici: 1993, 11 aprile
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagina quotidiano
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: “L’Unità”, 11 aprile 1993