[APPUNTO PER CANTONE]

di Riccardo Terzi

L’accordo separato sul modello contrattuale è stato presentato come il primo passo di una coraggiosa innovazione riformista. È del tutto evidente che si tratta solo di una manipolazione ideologica, perché in quell’accordo non c’è nessuna traccia di una effettiva ispirazione riformista. Non c’è, infatti, nessun rilancio della contrattazione decentrata, territoriale, nessuna garanzia di una sua estensione quantitativa e qualitativa, ma c’è solo, finché dura, il beneficio indiretto dell’esenzione fiscale per gli aumenti legati alla produttività aziendale, il che, tra l’altro, in una situazione di crisi prolungata e strutturale, non potrà che produrre modestissimi effetti. E soprattutto non c’è nessuna idea sotto il profilo della partecipazione dei lavoratori alle decisioni, della loro responsabilizzazione, nessun tentativo, quindi, di delineare un più avanzato sistema di relazioni industriali. Anzi, dal punto di vista della qualità democratica, che è per noi decisivo, c’è un drammatico arretramento, perché si vuole imporre, con un accordo di vertice, un sistema chiuso, preconfezionato, senza aprire tra i lavoratori nessuna discussione e nessun confronto. Nel linguaggio della politica, potremmo dire che si tratta di un colpo di stato, compiuto manu militari. È questo un aspetto decisivo e dirimente, perché dovrebbe essere del tutto evidente che questa materia – le forme e le regole della contrattazione collettiva – non è un aspetto tecnico da delegare alle burocrazie sindacali, ma è l’oggetto del patto di fiducia tra sindacato e lavoratori, e qualsiasi innovazione è accettabile solo se c’è il consenso dichiarato e verificato delle persone che noi vogliamo rappresentare. Insomma, se una seria riforma della contrattazione dovrebbe servire a rendere tutto il sistema più aderente alle diverse realtà e più aperto alla partecipazione dei lavoratori, più flessibile e più democratico, se valutiamo quindi con questo metro l’accordo sottoscritto, non possiamo che confermare il nostro giudizio negativo perché proprio sul terreno dell’innovazione sociale non c’è nessun passo in avanti. Il tema della democrazia, ovvero della partecipazione e del consenso, è l’aspetto centrale intorno a cui ruota l’attuale crisi della politica.

La crisi ha appunto la sua origine nella velleità e nell’arroganza di un decisionismo autoritario, nel fatto quindi che la politica non si configura più come uno “spazio pubblico”, aperto al contributo di tutti, ma come l’affare privato di una ristretta oligarchia. Il sindacalismo confederale può essere il soggetto che apre, con forza e con estrema determinazione, tutto il capitolo della democrazia, in un confronto critico e dialettico con le attuali forze politiche, e proprio per questo è essenziale che esso abbia tutte le carte in regola per quanto riguarda la sua vita interna, il suo rapporto con i lavoratori, le sue procedure decisionali. Senza questa coerenza democratica, anche il sindacato finirebbe per entrare in una spirale di involuzione e di delegittimazione, finirebbe cioè per essere avvertito non più come uno strumento, imperfetto ma perfettibile, al servizio dei lavoratori, ma come un anello della “casta” dominante. Questo è il senso profondo del nostro rapporto con la politica: non una logica di schieramento, di collateralismo, ma una sfida alla politica, a tutta la politica, nel nome non di una posizione di parte, ma delle ragioni universali della democrazia, ovvero dei diritti di tutti, e di quel principio di eguaglianza su cui si regge tutto il nostro impianto costituzionale. Con questo stesso criterio dovremo valutare le possibili ipotesi di riforma istituzionale. Il criterio è chiaro: si tratta di riforme che allargano lo spazio democratico o che lo restringono, che sono coerenti con il principio di eguaglianza, o che viceversa lo contraddicono? Tutto il tema del federalismo, ad esempio, dovrà essere valutato così, per i suoi effetti concreti, per la possibilità che può aprire di un autogoverno responsabile, nel quadro di una forte solidarietà nazionale. E allora, in questa logica, vanno sciolti molti nodi oggi ancora del tutto indefiniti. In sostanza, il federalismo avrà l’effetto di rendere più omogeneo il tessuto sociale dell’intero paese, o all’opposto produrrà un ulteriore allargamento della forbice tra aree forti e aree deboli? Nel secondo caso, si tratterebbe di un operazione del tutto insensata. Dovremo quindi attentamente vigilare, e partecipare a tutto il nuovo processo istituzionale che si sta avviando, per dare ad esso uno sbocco che sia positivo e che garantisca condizioni di eguaglianza e universalità dei diritti fondamentali. Su questi temi, politici e istituzionali, avremo modo di ritornare, per definire meglio il nostro ruolo autonomo e la nostra iniziativa. Un primo appuntamento è fissato per il 6 marzo, con un seminario nazionale intorno alla ricerca sugli anziani e la politica, che ci offre un importante materiale di riflessione intorno alla crisi della politica e alle sue possibili linee di tendenza.



Numero progressivo: E46
Busta: 5
Estremi cronologici: [2009?]
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Stampa da file PC
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Sindacali - SPI -